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Stefano Lanuzza, ’900 OUT. SCRITTORI ITALIANI IRREGOLARI

Posted on: 23/06/2018

Stefano Lanuzza, ’900 OUT. SCRITTORI ITALIANI IRREGOLARI

Fermenti, Roma 2017.

 

 

 

 

di Sergio D’Amaro

Come esiste una letteratura coralmente riconosciuta e gratificata, così ne esiste un’altra specie, in Italia, emarginata e innamorata dell’oblio. Destini diversi che decidono quanto un autore pesi sulla bilancia del critico e nel portafoglio dell’editore. È una dimostrazione, anche, di quanto l’abilità nel sapersi adeguare a formule stereotipate (magari suggerite dalle fiorenti scuole di scrittura) e nel cogliere opportunità di successo immediato, legato alle dinamiche di mercato, abbia il suo peso nel farsi amare dalla Fama.

Se si dovesse, viceversa, stendere una storia alternativa della letteratura italiana del Novecento, vincerebbe lo scandalo dello scrittore irregolare, anomalo, eretico, apocalittico, ribelle, insomma in una parola «out». ’900 out. Scrittori italiani irregolari s’intitola l’ultimo folto libro di Stefano Lanuzza, ben noto critico non amante dei canoni che assembla pezzi di varia natura e di varia provenienza, allestendo una pirotecnica sfilata di anime eterodosse e per ciò stesso diversamente belle. Teste di serie di ogni opposizione all’ovvio risultano in ordine anagrafico Dino Campana, Alberto Savinio e Tommaso Landolfi, ma uno dei centri dell’attenzione critica di Lanuzza sembra essere lo scrittore siciliano Stefano D’Arrigo col suo fluviale, epico romanzo Horcynus Orca, costato anni di elaborazione e diventato un caso editoriale nel bel mezzo degli arroventati anni Settanta. Le lunghe peripezie del protagonista ‘Ndrja Cambrìa, che ritorna alla vita normale dopo un’esperienza bellica, assume le dimensioni di una nuova Odissea, arricchita da una lingua esuberante e torrida reinventata originalmente dallo scrittore in una sfavillante, titanica performance. Con D’Arrigo saltano canoni e accademie, etichette e correnti letterarie, si afferma il diritto di una neo-lingua a farsi unica, qualificata dimensione del mondo. Di lui oggi non si sa quasi più nulla, al massimo è un paragrafo negli affollati manuali letterari o nelle informate rassegne che contano e che si sforzano di storicizzare tutto lo storicizzabile.

E, a proposito, di Edoardo Cacciatore o di Mario Lunetta (recentemente morto e autore di cinquanta opere in volume) cosa si sa di più? Lanuzza porta in evidenza questo deficit di conoscenza e lo addita come un peccato imperdonabile della cultura italiana, impegnata nella sua eterna edificazione di piedistalli, possibilmente ortodossi, moderati, ubbidienti a tendenze e a scuole. Un altro caso, ad esempio, di clamorosa rimozione della memoria è quello del germanista Ferruccio Masini, autore di un libro fondamentale su Nietzsche, Lo scriba del caos. Il buco nero costituito dal filosofo tedesco nell’universo culturale contemporaneo appare perfettamente corrispondente alla stessa vicenda di Masini in veste di scrittore, e di scrittore anche lui «out», convinto di una sorta di nichilismo attivo, capace di attingere contrari ed estremi fino a rintracciare la luce nel buio, la rigenerazione nella morte, la liberazione là dove le catene della razionalità occidentale imbrigliano l’essere profondo e non consentono l’emersione dell’uomo nuovo che si dibatte nelle battaglie della lingua.

Ai limiti di questa oltranza incontriamo voci filosofiche italiane, come quelle di Manlio Sgalambro (autore di titoli memorabili come De mundo pessimo e La conoscenza del peggio) o del giovane Stefano Scrima il cui titolo più forte suona inequivocabile, Nauseati. Più che avere senso, la vita «fa senso», sicché tutte le premesse idealistiche e provvidenzialistiche vengono a cessare. Da Leopardi a Huysmans, da Lautréamont a Kafka e a Sartre, la vita assume il volto dell’assurdo, il passo progressivo di un nulla senza appello, che finisce quindi per scardinare missioni pedagogiche o morali, intenti edificanti o consolatori, connessi tutti ugualmente al messaggio letterario tradizionale. Una letteratura che, oltre che out, elabora dal suo stesso interno la dissolvenza di verità polimorfiche, rovesciate e taglienti. Alla fin fine, urtanti e stimolanti, com’è anche nel DNA critico di Lanuzza, avvezzo a posizioni scomode e attivamente antagonistiche.

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