incroci on line

DISTOPIE LIQUIDE / 1

Posted on: 28/11/2021

Klee, AngelusNovusI classici della letteratura distopica del Novecento invitano il lettore a riflettere sul proprio presente: sono opere che ci parlano del nostro tempo, raccontando i possibili effetti disumanizzanti del potere che oggi si rivela sempre più subdolo. Alcuni studenti magistrali dell’Università di Bari, riuniti in un seminario di Sociologia della letteratura, hanno riletto in questa chiave i capolavori di Orwell, Bradbury e Morselli, aggiornandone l’interpretazione anche alla luce del pensiero di Zygmunt Bauman. Il primo articolo è di Roberta Borrelli che, partendo da 1984 e dai sistemi di sorveglianza e repressione esercitati dal ‘Grande Fratello’, riflette sulle dinamiche che regolano il linguaggio del web e dei social network, ponendosi come una sorta di «newspeak». (Annarita Correra)

L’assuefazione al bipensiero e alla neolingua: da Orwell al web

di Roberta Borrelli

La Londra distopica di Orwell è terribile e soffocante, imbarbarita e invasa da sporcizia; i rapporti umani sono impossibili o ridotti al sospetto, il tessuto sociale si è dissolto nel magma metropolitano ed è stato agevolmente sostituito dalla presenza unica del Partito. L’occhio del controllore, posto al centro dell’edificio, diventa una metafora del Potere che tutto controlla e ordina. La maggiore caratteristica distopica è quella di un trasparente «controllo totale»: «Il volto dai baffi neri guardava fisso da ogni cantone. Ve ne era uno proprio sulla facciata della casa di fronte. IL GRANDE FRATELLO VI GUARDA, diceva la scritta, mentre gli occhi scuri guardavano in fondo a quelli di Winston. […] In lontananza un elicottero volava a bassa quota sui tetti, si librava un istante come un moscone, poi sfrecciava via disegnando una curva. Era la pattuglia della polizia, che spiava nelle finestre della gente».

Si tratta di universo puntellato di sistemi di sorveglianza e repressione totali, resi possibili da un apparato tecnologico avanzato a cui nessuno può sottrarsi. Il mondo è diviso in zone di influenza, la guerra è totale e perpetua, la polizia è onnisciente; non esiste il tempo né il senso del tempo. Non esistono libri, salvo alcune opere giudicate fondamentali: i libri corrompono, non possono esistere perché non deve sussistere il pericolo di un ritorno alla civiltà.

L’unico obiettivo del Potere è il ‘puro’ piacere: il piacere di infliggere dolore e mortificazione, ma anche il piacere di riceverne: «Non desideriamo la ricchezza, il lusso, la felicità, una lunga vita. Vogliamo il potere, il potere allo stato puro. […] Il potere è un fine, non un mezzo. Non si instaura una dittatura al fine di salvaguardare una rivoluzione: si fa una rivoluzione proprio per instaurare la dittatura». Così nel web, mondo popolato da soggetti fittizi, che aderiscono a una realtà programmata e la vivono come vita vera o parallela, apparentemente ordinata – ma pur sempre non regolata – priva di punti di riferimento autorevoli, fatta di commenti scritti in linguaggi diversi e stratificati. La comunicazione contemporanea, con il suo eccesso di orizzontalità, permette a tutti di dire la propria, di scrivere. In apparenza è il trionfo della democrazia, ma si rivela modello di organizzazione dei linguaggi e dei saperi che impedisce la contestazione: dove tutto ha posto, quello che non ha spazio è l’opposizione. Ma se il potere è piacere, allora è alla portata di tutti: c’è chi punisce e odia, e il momento dopo può essere punito, odiato. La situazione non solo si rovescia, ma la condizione di vittima e quella di carnefice paiono essere sovrapponibili.

In 1984 le coscienze vengono manipolate al punto da debellare nell’animo degli uomini la potenzialità dell’immaginazione, anche il solo ricordo di un mondo diverso: la Storia viene continuamente riscritta, anzi, cancellata. In questo universo distopico vi è la messa in opera di un complesso e raffinatissimo arsenale di dissuasione/persuasione, di menzogna, di distruzione delle capacità stesse di pensiero (il bipensiero) e della lingua parlata (la neolingua): «“Chi controlla il passato” diceva lo slogan del partito “controlla il futuro. Chi controlla il presente, controlla il passato”. E però il passato, sebbene fosse per sua stessa natura modificabile, non era mai stato modificato. Quel che era vero adesso, lo era da sempre e per sempre. Era semplicissimo, bastava conseguire una serie infinita di vittorie sulla propria memoria. Lo chiamavano “controllo della realtà”. La parola in neolingua era bipensiero».

In 1984 il Ministero della Verità ha il compito di riscrivere la Storia per raccontarla e renderla coerente con il Potere dominante: la neolingua – le cui caratteristiche principali sono sintesi e semplicità – è un emblematico strumento di dispotismo, capace di cancellare e rimuovere fatti ed eventi sgraditi, ma anche angolazioni e prospettive diverse (cfr. M. Moneti, Sul rapporto utopia-distopia, in Utopia e distopia, a cura di A. Colombo, Angeli, Milano 1987, pp. 333-334). Riducendo la lingua si riducono le possibilità di espressione e, se è vero che noi siamo il nostro linguaggio, ridurre il linguaggio, semplificarlo, significa ridurre l’individuo al nulla, dunque distruggerlo. Entrano così in gioco complesse implicazioni tecnologiche, come lo sviluppo delle tecniche di dominio attraverso i mass-media. Oppure il linguaggio social, che può essere inteso come neolingua, un newspeak: è specifico, costruito di slang e parole di una grammatica normativa che condiziona i rapporti sociali.

Altro strumento essenziale al Partito è il bipensiero. Aiuta a imporre scelte contro il buon senso e le evidenze stesse dei sensi, consiste nel sapere la verità mentre si dicono menzogne, riuscendo però a credere che queste siano autentiche; comporta l’avere due opinioni opposte e inconciliabili, ma crederle entrambe, gli opposti coabitano e si cessa si concepire la contraddizione, dunque anche l’opposizione politica (cfr. F. Selleri, Scienza e Potere in “1984”, in Ideologia Linguaggio Potere: “1984” di George Orwell, Adriatica, Bari 1984, p. 101).

È vero che nulla di simile viene consciamente imposto nella società contemporanea, ma è tuttavia possibile ritrovare nel nostro mondo qualcosa che assomigli molto alla descrizione orwelliana: esposta spesso a evidenze opposte – per esempio entrando in contatto con articoli di giornale – la mente è costretta a oscillare fra un’informazione iniziale (credibile per la sorgente in cui nasce) e una serie di pezzi informativi incompatibili con essa. Si può dunque dire che siamo spinti a una specie di bipensiero, in cui una cosa e il suo opposto sono entrambi creduti e allo stesso tempo negati. Le successive informazioni inglobate contraddicono e ridimensionano, ma non distruggono ciò che era contenuto negli articoli iniziali, così che un’opinione e il suo contrario continuano ad avere spazio.

Allo stesso modo, è attuale il problema con cui si misura Orwell: l’annientamento della soggettività individuale in funzione di un’adattabilità al corpus collettivo. L’emergenza e la necessità di riaffermare il valore dei rapporti tra individui: è attraverso la solidarietà che ognuno può avere libertà di espressione. Ne fornisce una rappresentazione attraverso «la lacerata e sofferente rappresentazione nella carne del suo everyman» con cui ci costringe a coincidere (D. Guardamagna, Nineteen Eighty-Four: George Orwell e l’utopia negativa, in Ideologia Linguaggio Potere, cit., p. 150).

In queste società monolitiche esistono dei ribelli che dovrebbero incarnare l’eroe tragico: sono i non-più-eroi-outsiders (Winston Smith nel nostro caso) ai quali vengono opposti burocrati di partito (O’Brien). Sono ribelli malandati, nel corpo, nelle nevrosi e nelle psicosi che li accompagnano (Cfr. S. Manfrelotti, Distopie contemporanee: Zamjàtin, Huxley, Orwell, in Utopia e distopia, cit.,  p. 45). Al protagonista, assieme alla possibilità di esistere, di immaginare e di esprimersi, viene sottratta anche la morte. Potrebbe essere possibile, però, intravedere nella frattura di Winston non-eroe e nella fragilità che lo porta al tradimento, un altro elemento forse solo apparentemente caro alla contemporaneità: l’umanità, intesa come quell’insieme di caratteristiche – qualità, vantaggi, limiti – che fanno dell’uomo l’essere più affascinante e resiliente.

Attraverso il legame con Julia, l’amore e la sensualità, al protagonista è concesso di provare in alcuni momenti – pochi e isolati – qualcosa di diverso dall’odio o dalla violenza: la tenerezza. La cosa interessante è che questa si manifesta proprio quando la donna afferra la mano di Winston, dunque quando c’è un contatto fisico (per noi tanto pericoloso in questi anni, desiderato e allo stesso momento generatore di sospetto). In questo «mondo di gente che calpesta e che è calpestata», nel mondo dell’isolamento del web e nella condizione pandemica (che mettono a rischio la nostra umanità), la percezione fisica dell’altro è essenziale.

Relativamente alla sfera delle emozioni, Mininni ribadiva che 1984 racconta di un fallimento: il corpo individuale non è sufficiente contro lo strapotere «della massa reificata in uno Stato». L’ipotesi rappresentata da Julia, cioè che il Partito e la violenza non potessero «entrare dentro» l’essere umano e infrangere l’io, risulta vana. 1984 non permette vie di fuga né attimi di ampio respiro: il linguaggio viene depotenziato tramite lo strumento della neolingua – così che della letteratura non resterà nulla quando sarà portata a compimento la traduzione nel 2050. Dunque la civiltà non farà ritorno con i classici tradotti in neolingua, ma se Orwell ci racconta e consegna un universo senza speranza, cupo e soffocante, ci consegna pur sempre un’opera letteraria. Ed è proprio la letteratura che prende in carico «le attività emotivo-immaginative» del linguaggio umano: «Per cui il monito vero dell’anti-utopia di Orwell sembra essere: badate che il tessuto letterario non muoia, che nessuno si avventuri a scrivere “l’ultimo romanzo” o “l’ultima poesia in Europa”, perché quello sarà il segno che il Potere avrà vinto e avrà prodotto un’anti-lingua degna di un anti-uomo» (cfr. G. Mininni, Controcomunicazione e potere. Per una lettura psicolinguistica di “1984”, in Ideologia Linguaggio Potere, cit., pp. 71-72).

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

«incroci» – semestrale di letteratura e altre scritture

direzione: Lino Angiuli •  Daniele Maria Pegorari • Raffaele Nigro

disclaimer

Il blog ‘incroci on line’ non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità: per questo non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.
La responsabilità degli articoli è dei rispettivi autori, che ne rispondono interamente.

Alcune immagini pubblicate nel blog sono tratte dal Web: qualora qualcuna di esse fosse protetta da diritto d’autore, vi preghiamo di comunicarcelo tramite l’indirizzo incrocirivistaletteraria@gmail.com, provvederemo alla loro rimozione.

Al lettore che voglia inserire un commento ad un post è richiesto di identificarsi mediante nome e cognome; non sono ammessi nickname, iniziali, false generalità.
Commenti offensivi, lesivi della persona o facenti uso di argomenti ad hominem non verranno pubblicati.
In ogni caso ‘incroci on line’ non è responsabile per quanto scritto dai lettori nei commenti ai post.

Archivi