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Archive for the ‘narrativa’ Category

dezioFrancesco Dezio, Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta

Les Flâneurs, Bari 2023.

di Daniele Maria Pegorari

Torna in libreria in versione rinnovata, dopo nove anni, la seconda prova narrativa di Francesco Dezio, pittore, grafico e narratore altamurano, esordiente nel 2004, per Feltrinelli, con Nicola Rubino è entrato in fabbrica, un libro cult del ritorno alla questione del lavoro in Italia. Seguita, poi, da La gente per bene (Terrarossa, 2018) e da La meccanica del divano (Ensemble, 2021), oltre che dalla riedizione di quel primo romanzo postindustriale (Terrarossa, 2017), la raccolta di racconti Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta fu anch’essa, al suo primo apparire (Stilo, 2014), un piccolo monumento della scrittura generazionale; uno specchio nel quale si è potuta ritrovare almeno una parte di una generazione dimenticata, quella dei nati a cavallo del 1970, troppo giovane per essere coinvolta nei movimenti di contestazione e innovazione, troppo vecchia oggi per non assumere un atteggiamento nostalgico di fronte ai mutamenti accelerati che la fanno sentire una sopravvissuta al Novecento. Va riconosciuto, dunque, alla casa editrice Les Flâneurs il merito di aver reso nuovamente disponibile questo libro che, in sedici gustosi racconti umoristici, riesuma un periodo (per la verità, non solo gli anni Ottanta, ma anche quelli immediatamente precedenti e successivi) attraverso lo sguardo di un adolescente di provincia che scopre – tutto insieme – il sesso, la musica, la moda, lo slang giovanile e il lavoro. Leggi il seguito di questo post »

ioceroPasquale Pellegrini, Io c’ero

Edizioni Radici future, Bari 2023

di Francesco Giannoccaro

La scelta di “uscire dal mondo”, intesa come rifugio nella meditazione e nel silenzio fuori dai clamori della contemporaneità, non privilegia fasce d’età, sessi, ceti sociali. Può contagiare anonimi cristiani come persone di provato ingegno, ricchi o diseredati, credenti e non, giungendo a sedurre perfino un Papa.

Così come è impossibile, perché fuori da ogni regola, azzardare motivazioni a questo acquattarsi nella propria interiorità, talora definitivamente. Leggi il seguito di questo post »

Cannito_la pozzangheraChiara Cannito, La pozzanghera illusa di essere cielo

Illustrazioni di Elisa Cesari

Giazira Scritture, Noicattaro (BA) 2023

di Loredana Cenerario

            L’albo illustrato di Chiara Cannito si porge subito al lettore, piccolo o adulto che sia, attraverso la rapidità di un battito d’ali che offre il respiro a riflessioni profonde.

            Attraverso una scrittura essenziale, l’autrice ci conduce, tenendoci per mano, verso l’incontro con un tema  tanto ‘insigne’ quale è la Bellezza, utilizzando, a contrasto, un soggetto tanto ‘basso’ quale è una pozzanghera personificata (una pozzanghera come spesso si sente, ciascuno di noi, in alcuni momenti della vita!). La protagonista scopre la sua bellezza, di goethiana memoria, attraverso l’incontro con l’altro da sé che le dà un nome. Si attua una sorta di metamorfosi kafkiana grazie alla quale l’empatia vissuta dalla prima avventrice – una bambina – permette alla pozzanghera di comprendere l’entità della sua bellezza: da acqua stagnante essa si riscopre «pezzo di cielo». Leggi il seguito di questo post »

alvaroCorrado Alvaro, Quasi una vita

Bompiani, Milano 2023

di Sergio D’Amaro

Quasi una vita. Giornale di uno scrittore di Corrado Alvaro viene riproposto nei Classici contemporanei della Bompiani (intr. di R. Saviano, pp. 496, € 18,00). È il libro che assicurò al grande scrittore calabrese il premio Strega nel 1951, cinque anni prima della sua morte prematura a 61 anni. Alvaro era già molto noto per i suoi romanzi e racconti, da Gente in Aspromonte a L’uomo è forte e L’età breve. Alternate alla sua intensa attività letteraria e giornalistica (per Il Resto del Carlino, Corriere della Sera, La Stampa), le note del suo diario corrono lungo il ventennio tra il 1927 e il 1947 e colgono nella vivezza degli avvenimenti e delle impressioni il clima dell’epoca, il difficile cammino della propria vita, gli incontri più vari e anche più strani di una ricca esperienza maturata anche nei suoi reportages dall’estero. Leggi il seguito di questo post »

morgeseWaldemaro Morgese, Materne notti di luna

Homo scrivens, Napoli 2023.

di Carmine Tedeschi

            Immaginate una coppia intellettualmente affiatata in una biblioteca ben fornita di libri storici, biografici, bibliografici, geografici, oltre che di cronache locali di storia patria, di documenti rari, mappe, disegni, foto, carte d’archivio sconosciute ai più. Immaginate questi due che rovistano fra le tante pagine, saltabeccando da un foglio all’altro, non tanto secondo vaghi criteri di ricerca, quanto piuttosto secondo curiosità e gusti personali, o per associazioni di letture fatte, di richiami a quanto già conoscono e reciprocamente si rammentano; su ciò che trovano si soffermano e commentano ad alta voce fatti e personaggi di rilievo storico, ma anche minuzie biografiche, microstorie assai poco note. E alla fine di questo lavoro da api mellifere, ecco che consegnano il loro miele all’arnia della scrittura. Ebbene, se scorrete il libro di Morgese, tutto questo non dovete più immaginalo. Ce l’avete fra le mani. Leggi il seguito di questo post »

brusePiergiorgio Brusegan, I racconti di «Bruse» o pintor aventureiro

Supernova edizioni, Venezia 2023

di Paolo Leoncini

 

Definito “pintor aventureiro” dallo scrittore portoghese Antonio Marujo «incantato dalle mie fiabesche avventure a Goa», Piergiorgio Brusegan, il cui nome d’arte è “Bruse”, costituisce un “caso” del tutto eccezionale nella cultura italiana tra Ottocento e Novecento: rappresenta la “modernità” del viaggio, del movimento, ma rivissuta in termini che – secondo la sua venezianità, o meglio “veneticità” – possono richiamarsi a Marco Polo, reinterpretato nella prassi di una sensibilità avventuriera alla Paul Gauguin. Leggi il seguito di questo post »

carratoniVelio Carratoni, All’impazzata. Alla ricerca dei rebus degenerativi, pref. di S. Lanuzza, composizioni verbo-visive di G. Fontana, Fermenti, Roma, 2023.

di Sergio D’Amaro

Si possono in questo libro di Velio Carratoni, All’impazzata. Alla ricerca dei rebus degenerativi, fare prelievi a caso, ma il corpo anatomizzato rimane sempre quello di un’umanità in forte sofferenza, in impossibile pareggio di bilancio. Carratoni, che ha rubato qualche gene importante a Kraus o a Flaiano, sa come arrabbiarsi, sa come ridere e irridere (anche con sferzate dissacranti verso i big della cultura nazionale), sentendosi addosso incalzante la premura di una realtà che fa scandalo da tutte le parti. Perché ridurre tutto ad aforisma? Perché semplicemente non bastano più, per lui, le forme tradizionali, serve invece una presa trasversale della realtà che essendosi mostruosamente complicata esige un trattamento omologo ai suoi gomitoli, cioè una forma di espressione che sia insieme narrativa, poetica e saggistica, alla faccia della suddivisione dei generi. Leggi il seguito di questo post »

jouvance-finzioni-vacchelli-i-viviGianni Vacchelli, I Vivi (un’orestea)

Jouvence, Milano 2022

di Mirco Cittadini

 

Cosa significa essere “vivi”, oggi, in questo nostro sistema?

Pare, a leggere il ponderoso libro di Gianni Vacchelli, I Vivi (un’orestea) edito da Jouvence, che la risposta non la sappiano dare gli adulti, ma i bambini. E non necessariamente i bambini ancorati alla nostra realtà (che è parte del problema), ma bambini che abbiano la capacità, il dono, di accedere ad altri mondi immaginali.

Il problema è che questo accesso ai mondi altri, ulteriori, non è sempre un privilegio, ma spesso comporta fatica, sofferenza, mette alla prova le proprie fragilità (e i bimbi di questo libro sono fragilissimi nella loro forza, nel loro splendore), induce al sospetto, fa sentire soli. Leggi il seguito di questo post »

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Rita Pacilio, Il bambino d’oro

peQuod, Ancona 2022

di Carmine Tedeschi 

Da quando la narrativa contemporanea orientata allo scavo psicologico  ha segnato il  suo robusto percorso nella storia letteraria, hanno trovato in essa posto sempre più largo i vari aspetti della sessualità, con patologie annesse e connesse; e ciò sia nella dimensione individuale, sia nelle necessarie ricadute relazionali, sia, infine, nel mutamento dei costumi e della mentalità collettiva. 

     Se ci soccorre la memoria, tra i tanti modi di praticare la sessualità compare raramente e solo di passaggio, o niente affatto, quello dell’autoerotismo: il “vizio solitario”, come lo si chiamava pudicamente un tempo, di cui la fantasia popolare profetizzava in funzione dissuasiva tremende conseguenze per gli adolescenti ad esso inclini, quali la cecità, il nanismo,  la pazzia. Stiamo parlando della masturbazione. Leggi il seguito di questo post »

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Antonio Aprile, Lo Spettro del Flamenco

Idea Press, New York 2021

Di Giuseppe Gentile

Gli Spettri rappresentano la parte più recondita del nostro umore. Ci seguono fin da bambini, prima i mostri nell’armadio della nostra cameretta, poi la paura delle streghe, fino alle ombre che si fanno strada fra le fioche luci della notte, quelle che sembrano coprire le stelle e ci fanno paura. Pur conoscendo la loro forma, i Ghostbusters non sono di questo mondo e i fantasmi, i nostri fantasmi, non vengono mai sconfitti fino in fondo: quando non li vediamo più non vuol dire che siano svaniti nel nulla, ma che abbiamo semplicemente imparato a convivere con loro fino a farli diventare l’eco dello sgocciolìo di una fontana malata, una farfalla che lentamente si posa sulla nostra spalla. A poco a poco le fantasie divengono realtà, la giovinezza diviene ragionamento, maturità, saggezza. Leggi il seguito di questo post »

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Antonia Abbattista Finocchiaro, Quando è tempo di Puglia

Grafica&Arte, Bergamo 2015

di Carmine Tedeschi

Di romanzi storici, di quelli con tutti i tratti distintivi del genere, non se ne vedono molti sul mercato editoriale in questi ultimi anni, dato il calo dei lettori appassionati di certe storie. Ma anche perché è facile immaginare quali e quante ricerche richiedano quei romanzi, quanti dati e cronologie da far quadrare, quanto acume letterario e accortezza compositiva nell’innestare una storia di immaginazione in un degno e preciso contesto. Ciò, almeno, se si vogliono evitare accostamenti strampalati e arrivare a un prodotto finito degno della sua tradizione. Cruccio che, si ricorderà, era già del Manzoni, quando il genere doveva ancora nascere nella letteratura italiana. Molto meno laborioso, non solo per l’autore ma anche per il lettore, sviluppare e seguire una vicenda di pura invenzione ambientata nella contemporaneità. Leggi il seguito di questo post »

terza liceo 1939

Marcella Olschki, Terza liceo 1939

Premessa di Daniele Olschki, prefazione di Piero Calamandrei

Olschki, Firenze 2022

di Sergio D’Amaro

 

     Esce in nuova edizione Terza liceo di Marcella Olschki, figlia minore con Alessandro del famoso editore fiorentino. È un delizioso, nostalgico, ironico racconto della giovinezza trascorsa tra i banchi dell’ultimo anno di un liceo fascista. Se non fosse per certi riferimenti puntualmente storici, si potrebbe dire il racconto che ciascuno di noi conserva nella sua memoria scolastica. C’è l’esperienza di una coscienza che sta per sbocciare in tutto il suo vigore e che si misura con i caratteri e i comportamenti dei propri coetanei che hanno condiviso la stessa sorte appena prima che scoppiasse la terribile guerra. Leggi il seguito di questo post »

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Rocco Della Corte, STORIA DI ETTORE L.
Scatole Parlanti, Viterbo 2001

di Sara Notaristefano 

Un po’ di Leopardi, quello delle Operette morali; il Pirandello del saggio sull’Umorismo; Achille Campanile e, in particolar modo, Italo Svevo, che campeggia anche nell’esergo del volume, sono le voci eccellenti presenti nei dodici racconti della raccolta Storia di Ettore L.; voci che tendiamo a percepire come l’eco di un passato letterario ormai considerato “classico”. Eppure questa eco ci raggiunge con rinnovata freschezza attraverso la penna di Rocco Della Corte, che si è brillantemente cimentato con la narrativa, dopo anni dedicati alla saggistica e allo studio di figure come quella, appunto, di Achille Campanile, su cui ha scritto L’umorismo cosmico (Atlantide, 2019). Leggi il seguito di questo post »

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Mario Rondi, Avventure di un seduttore mancato

Genesi Editrice, Torino, 2021

di Carmine Tedeschi 

Il singolare del titolo (“un seduttore”) è buona spia della centripetazione tipologica delle gesta, o meglio dei “conati” seduttorii messi in atto dai protagonisti di questi ventisei racconti. Ventisei personaggi comprimibili in un solo tipo: quello dell’uomo senza qualità. A proposito del quale è inevitabile correre col pensiero, non solo a Musil, ma a gran parte della narrativa primo-novecentesca, che segnò una svolta irreversibile nella letteratura europea. Leggi il seguito di questo post »

ulisse

James Joyce, Ulisse, a cura di Enrico Terrinoni

Bompiani, Milano 2021

di Sergio D’Amaro

Correva il 2 febbraio 1922 e la libreria Shakespeare & Company di Sylvia Beach sita al numero 12 di Rue de l’Odéon a Parigi esponeva le copie di Ulysses dello scrittore irlandese James Joyce, nato esattamente quarant’anni prima nello stesso giorno e nello stesso mese, lanciando il suo nome nella galassia della letteratura mondiale. Joyce credeva nelle combinazioni cabalistiche e la coincidenza col suo venire al mondo aveva per lui un significato latamente apocalittico, si aspettava che la sua opera fosse la rinnovata certezza di Luigi XIV: après moi le déluge. E fu in un certo senso così, giacché il ‘’maledettissimo romanzaccione’’, come lo stesso autore lo etichettò, riesce ancora dopo un secolo dalla sua uscita a stupire e a mostrare evidente quell’effetto inestinguibile di ‘’marea’’ che è la metafora più pregnante per indicare il flusso e riflusso continuo di un’avventura narrativa impegnata epicamente, ma anche ironicamente, con l’insaziabile movimento della metamorfosi. Ulysses è davvero il non plus ultra del rapporto tra linguaggio e realtà in quell’andare a disturbare tutti i confini, gli abissi, i buchi neri della condizione esistenziale e del fitto mistero che continua a circondare l’essenza del mondo. Non a caso uno degli episodi cardinali dell’opera prende nome da Proteo, il dio inafferrabile che sfugge ad ogni forma definita e rimanda nelle sue poliedriche sfaccettature all’indeterminabile aspetto delle cose che ci circondano e ai labirinti scavati nel cervello umano. Leggi il seguito di questo post »

abbate, faccia da mostroLirio Abbate, Faccia da mostro

Rizzoli, Milano 2021

di Giuseppe Gentile

Sin dall’unità d’Italia la nostra penisola ha vissuto periodi a metà fra lampante e nascosto, senza alcuna via di mezzo, soprattutto se pensiamo a quel particolare momento che parte dagli anni Settanta col terrorismo rosso e nero, finendo alle continue sentenze che attestano in maniera ormai inequivocabile la collaborazione di una parte, o parti, dello stato (con la lettera minuscola) con la criminalità organizzata di qualsivoglia genere. Ecco che, essendo tutto parte di un complesso disegno storico governato da chissà chi, gli uomini ne diventano i principali attori. Sarebbe semplice, a questo punto, pensare ai cavalieri del bene che combattono contro quelli del male; vi è tuttavia una terza categoria di umano che si insinua fra le pieghe di questo eterno dualismo: i buoni travestiti da cattivi e viceversa o, peggio ancora, i cattivi che vengono scambiati per buoni senza servirsi di travestimento alcuno, quelle pecore che a causa di un imponderabile scherzo del destino sono anche lupi. Uno di questi loschi figuri, riconosciuti di fatto dal ‘cronico’ susseguirsi degli eventi e dei processi, sempre tuttavia al riparo da condanne, è tale Giovanni Aiello che diviene, attraverso varie e cupe collaborazioni, uno dei personaggi più ambigui della nostra storia, diviso fra polizia, servizi segreti, terrorismo, mafia, ‘ndrangheta e chi più ne ha più ne metta.  Leggi il seguito di questo post »

celati meridiano

PER GIANNI CELATI: UNA TESTIMONIANZA (1937-2022)

di Luigi Fontanella     

Mi ha molto scosso la notizia della scomparsa di Gianni Celati, morto nella notte tra il 2 e il 3 gennaio di quest’anno. Ne scrivo ora con commozione e rimpianto per non averlo potuto frequentare più spesso…  ma lui abitava da più di trent’anni a Brighton (Gran Bretagna) con la moglie Gilian Haley, pur alternando periodi di soggiorno nella sua amata Emilia: regione che lui ha descritto con intelligenza, ironia e perfino gusto del paradosso in alcuni godibilissimi libri, spesso accompagnandosi, nelle proprie esplorazioni, con Luigi Ghirri, artista-fotografo che come lui sapeva cogliere le misteriose e più intime rigature della pianura emiliana e dei suoi silenziosi abitanti. In questo ambedue possono considerarsi un po’ i successori di Antonio Delfini, narratore e poeta ben conosciuto e studiato da Celati che ne aveva finanche curato un libro, bello quanto editorialmente sfortunatissimo: Autore ignoto presenta. Racconti scelti e introdotti da Gianni Celati (Einaudi, 2008); un narratore, Delfini, mi piace aggiungere, a me quanto mai caro. Anzi, in un certo qual modo, devo proprio alla mia ammirazione verso la narrativa di Delfini se trent’anni fa scrissi alcuni racconti, uno dei quali (intitolato Momo) osai inviare proprio a Celati. Avevo da poco letto Quattro novelle sulle apparenze (Feltrinelli, 1987), libro di intensissima suggestione che, insieme con Narratori delle pianure (ivi, 1985 e 1988) e Verso la foce (ivi, 1988, 1992), sono a mio avviso tra le opere più belle e ispirate di tutta la narrativa dell’ultimo Novecento italiano.   Leggi il seguito di questo post »

9791254510025Nicky Persico, Il volo del pettirosso

Les Flâneurs, Bari 2021

di Giuseppe Gentile

La vita nasconde sempre, soprattutto fra le pieghe nascoste del suo larghissimo mantello, i dettagli che la rendono interessante e piena di passione. Questo vale per tutti, anche per gli uomini e le donne che incontriamo al bar o di sfuggita nella hall di un albergo, per strada o nella cucina di un ristorante. Ed è proprio grazie a tali storie (non ci interessa se inventate o meno) che nascono amori, antipatie, gioie, dolori, sorrisi e pianti, un po’ come accade fra gli atomi che si uniscono e si separano a seconda delle loro affinità col mondo che li circonda. Giusto per fare qualche esempio, ne parlava già Epicuro, a cui poi si aggiunse Lucrezio, fino ad arrivare a Goethe (un fiume di inchiostro che fino ad oggi non ha ancora terminato, e mai lo farà, la sua corsa), tutti filosofi, letterati e intellettuali che, a seconda del loro tempo e delle loro idee, hanno provato a spiegare a noi, uomini comuni, le loro relazioni sempre in bilico fra fusioni e fissioni, crescono e si affievoliscono attraverso processi complessi o semplici, ponderabili o imponderabili. Alla fine, non sarà importante il finale, ma il principio di tutto, la causa generatrice, il momento stesso della creazione, insomma il maledetto o benedetto (ai lettori la sentenza) volo di quel pettirosso. Leggi il seguito di questo post »

front-cover-jpeg-e1617779456265Sara Notaristefano, La composizione del grigio

Divergenze, Belgioioso (PV) 2021

di Daniele Maria Pegorari

Una linea di analisi in famiglia (per dirla con un romanzo di Maria Marcone che ebbe grande ribalta nazionale negli anni Settanta) tutta al femminile – una madre, una zia, una figlia, una nipotina – con alcuni personaggi maschili a fare, se non proprio da spalla, quanto meno da strumento di quell’analisi, da tavolo di laboratorio: il padre, lo zio acquisito, il primo datore di lavoro della protagonista, il marito di lei, poi sostituito, dopo il divorzio, da uno sbiaditissimo compagno (questo sì solo una comparsa). Non ne conosciamo i nomi perché l’autrice si rifiuta di contrassegnare i suoi personaggi con una convenzione sociale, una scelta peraltro spiegata in una breve nota di apertura, che rinvia al modello dei Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, uno degli autori più amati da Notaristefano. Si tratta, infatti, di sottrarre i personaggi all’imposizione onomastica, come pure alla determinazione geografica (anche i toponimi sono del tutto assenti), per farli essere meno «persone» e più «anime», universali nella loro condizione di sofferenza, di cui qui non interessa tanto la genesi (clinica, biografica, sociologica), quanto la fenomenologia dei comportamenti, delle reazioni, dei linguaggi. Leggi il seguito di questo post »

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Michela Marzano, Stirpe e vergogna

Rizzoli, Milano 2021

di Valeria Traversi

Un libro complesso, forte e pieno di sollecitazioni, quest’ultimo di Michela Marzano, che turba, interroga, mette a disagio e fa reagire. E questo è già un punto a favore dell’autrice e della sua coraggiosa operazione tra scavo psicologico e indagine storica, tra stirpe e vergogna. Quest’ultima è l’antidoto all’oblio e alla reiterazione delle colpe, in quanto sentimento dell’errore, il che fa di questa lettura un percorso di conoscenza privata e storica fra segreti e rivelazioni, passato e presente, scontri e riconciliazioni; e, come tutti i percorsi di conoscenza, deve attraversare la sofferenza, il male e il dolore perché possa diventare fecondo, ossia amore. Leggi il seguito di questo post »

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Dominique Jean Paul Stanisci, Equilibrium. Morire non ti salverà

Bertoni, Corciano (PG) 2021

di Chiara Cannito


Dominique Jean Paul Stanisci nasce come autore con due resoconti di viaggi nei memoriali del mondo (Viaggi bianchi e Ancora viaggi bianchi, Aga ed.) per poi affermarsi a livello cinematografico con Una scelta necessaria, docufilm ispirato dai suddetti libri, selezionato tra i migliori documentari a Stoccolma, New York, Parigi, Napoli e Alvsbyn e vincitore come Miglior Documentario del Festival del Cinema di Bruxelles. La metafora della sua vita è il Fiore di loto, titolo di una mostra fotografica da lui curata, ma anche cifra del suo stare al mondo. Il fiore di loto è emblema della sua visione della vita: la purezza (nobiltà d’animo) che affonda le radici nel fango (la violenza). Il fiore di loto è invito all’uomo, soprattutto nei momenti più bui, a farsi testimone proattivo del principio di fratellanza. Durante l’epidemia questa chiave improntata alla costruzione di relazioni sociali, che di fatto erano state interrotte e andavano reinventate, è stata tradotta – parafrasando Giacomo Leopardi – in una lettura «matta e disperatissima» e nella stesura delle «sudate carte» di questo romanzo. Un romanzo distopico per il quale lo scrittore si lascia guidare da numerose serie televisive apparse su Netflix, oltre che dai classici della letteratura e la cui narrazione muove da un terribile virus che uccide gli uomini.
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Francesco Giannoccaro, Torce rosse

ExCogita Editore, Milano 2021

di Carmine Tedeschi

 Il personaggio del poliziotto dal passato operativo pieno di rischi ma ormai anziano e vicino alla pensione, disilluso e frustrato, messo da parte dai superiori per qualche involontaria falla tra le tante che capitano nel suo mestiere ma che hanno ripercussioni di carriera e di immagine tali da insinuare sottopelle un permanente senso di colpa; il poliziotto minato da incomprensioni familiari, abbandonato dalla moglie o rimasto vedovo (come in questo caso) e quindi solitario, tra vita privata in una casa dove torna malvolentieri  e un posto di lavoro maldigerito, in mezzo a colleghi e sottoposti che condividono (e quindi rispecchiano) parte del suo malessere; un poliziotto comunque testardo e deciso ad andare fino in fondo per ineludibile senso di onestà, costi quel che costi:  ebbene, un tale profilo di detective non è del tutto nuovo nella ormai pervasiva letteratura poliziesca. Anche nostrana. Leggi il seguito di questo post »

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Waldemaro Morgese, Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo

Giazira scritture, Noicattaro 2021

di Mary Sellani

Quest’ultima pubblicazione di Waldemaro Morgese, scrittore, saggista ed editorialista, composta da venticinque capitoli, è una raccolta di ricordi rievocati in forma di racconti brevi e nascenti prevalentemente da memorie di libri letti in grandissima quantità. In possesso di questa enorme erudizione, l’autore si diverte talvolta a metterla a disposizione anche della fiction. Ne scaturisce un’operazione in cui egli cita puntualmente autori noti e meno noti che sollecitano le sue riflessioni sulla vita, sulla società, su problemi morali o ideali e sul valore della conoscenza e della cultura. Ripercorrendo la lettura di libri con tale facilità, sembra quasi che egli non ami vivere la propria vita, ma la vita ‘già vissuta’, ricalcando orme che sono già state calcate: citando, ripetendo, riscrivendo, fondendo il presente con il passato. Leggi il seguito di questo post »

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Giuseppe Lupo, Il pioppo del Sempione

Aboca, Sansepolcro (AR) 2021

di Carlangelo Mauro

Un pioppo nella corte dei Villoresi ­– lungo il Sempione, tra il fiume Olona e il Canale Villoresi – al centro del cortile, come axis mundi, è l’elemento naturale da cui nasce la storia dell’ultimo romanzo di Giuseppe Lupo, già vincitore nel 2018 del premio Viareggio (ex aequo con Fabio Genovesi) per la narrativa con Gli anni del nostro incanto (Marsilio). Il pioppo del Sempione è uscito nella collana “Il bosco degli scrittori”, nella quale un albero è l’elemento propulsivo o ispiratore dei volumi. Il romanzo è ambientato a Legnano nella scuola serale dell’istituto Bernocchi, dove un non iscritto, un ‘clandestino’, nonno Paplush, racconta ai frequentanti le storie della sua vita; si tratta di un ex operaio della teleria Tessiltex, «la gran madre» cui è stato fedele per quarant’anni fino alla chiusura. Leggi il seguito di questo post »

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Rita Pacilio, Cosa rimane

AUGH Edizioni, Viterbo 2021

di Carmine Tedeschi

Questo breve romanzo (poco più di cento pagine) assume ben presto, nel corso della lettura, l’andamento narrativo di uno di quei bilanci inevitabili quando sei in piena maturità, perché dettati dall’urgenza di trovare un senso al vissuto e, soprattutto, “a cosa rimane” da vivere.

       Per la matura Lorena, impegnata attivamente nel volontariato a favore di immigrati e barboni, in apparenza quindi con le carte in regola perché quel senso (o almeno un accettabile equilibrio) lo abbia già trovato, l’evento scatenante che la rigetta fra i marosi del dubbio esistenziale è costituito dal lascito di una sua cara amica uccisa del cancro. Il lascito consiste in una semplice borsa con dentro qualche oggetto (tra l’altro una cavigliera, il cui significato sarà chiarito nel seguito del racconto) e una chiavetta USB con dei file. Leggi il seguito di questo post »

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Giuseppe Pontiggia, Giovanni Sias, Dialoghi sul romanzo, la psicanalisi, la scrittura e altro

Polimnia Digital Editions, Rimini 2020

di Achille Chillà

Quando un noto psicanalista incontra un celebre scrittore, si determina una compenetrazione tra sfere conoscitive affini eppur differenti; e le regole dell’intervista si stemperano nell’orizzonte greco dell’antico dialogo. Nel nostro caso il grande romanziere è Giuseppe Pontiggia interpellato da Giovanni Sias in due occasioni, precisamente nel luglio del 1989 e nell’ottobre del 1992. Il volume aggiunge alle due interviste un testo intitolato “Dovuto a Pontiggia”, in cui lo stesso Sias ripercorre le tappe di un’amicizia mutuamente feconda. Inoltre, una essenziale biografia del romanziere lombardo integra e arricchisce di sfumature e riferimenti le questioni enucleate durante gli amabili conversari. Leggi il seguito di questo post »

finch___la_notte_5f871c8b8cbf6Sergio D’Amaro, Finché la notte non ci separi

Besa, Nardò 2020

di Antonio R. Daniele

Devastare e riedificare, morire e rinascere. Il romanzo di Sergio D’Amaro, in fondo, sta tutto qui. Pare poco ma non lo è affatto; pare una dialettica molto sfruttata, ma mai quanto servirebbe. È un romanzo storico? D’accordo, c’è la storia di mezzo. Ma prima di tutto ci sono gli uomini, le loro vicende e i loro annaspamenti, il loro agitarsi per rifare una strada molte volte accinta. Quindi la storia – quella che studiamo sui libri sin dai primi anni di scuola – non è una lezione, non è un ripasso di eventi. È piuttosto un incontro inevitabile, un appuntamento con la memoria a cui è bene non mancare. Leggi il seguito di questo post »

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Pasquale Pellegrini, Babbo Natale uno di noi

Ed. Città nuova, Roma 2020

di Carmine Tedeschi

Ancor più della categoria del “buonismo narrativo”, che nella Postfazione Angiuli ricorda a proposito di questo libro, per poi superarla e accantonarla, vengono in mente i “libri edificanti”: altra categoria obsoleta per via del diffuso snobismo intellettuale che rifiuta la funzione “edificante” della lettura. Sarebbe come rifiutare in blocco la formazione, l’educazione. Si tratta di necessità e funzioni sociali indiscutibili, non solo per accompagnare la crescita delle giovani generazioni, ma anche per favorire e indirizzare al meglio (al Bene) gli adulti. A questo scopo è rivolto un intero settore della ricerca pedagogica, sotto l’etichetta di “formazione perpetua”. Leggi il seguito di questo post »

Cesare Pavese, Il taccuino segreto

Nino Aragno Editore, Torino 2020

 

 

di Francesco Giannoccaro

A settant’anni dalla tragica scomparsa dello scrittore, e a trenta dalla sua prima pubblicazione sulle pagine della «La Stampa», rivede la luce, per i tipi dell’Editore Aragno, il cosiddetto Taccuino segreto di Cesare Pavese. L’opera, curata da Francesca Belviso, ricercatrice presso l’Università Nouvelle ̶ Paris 3, si avvale della puntuale introduzione di Angelo D’Orsi e della preziosa testimonianza dello scopritore del Taccuino, Lorenzo Mondo. Completano il libro gli scritti di alcuni amici e sodali di Pavese, usciti in occasione della sua prima apparizione su «La Stampa», e la copia anastatica del Taccuino, ad attestarne l’inequivocabile autenticità. Leggi il seguito di questo post »

Chiara Cannito, Torno subito
Argentodorato editore, Ferrara 2019

di Lino Minenna

Chi l’ha detto che la morte è la fine di tutto? Confessiamo, l’abbiamo pensato, l’abbiamo forse temuto… E se fosse solo il naturale passaggio in un’altra dimensione spazio-temporale magari parallela alla nostra, nel senso ‘guardiamo gli altri e loro non vedono noi’ o ‘ci siamo ma vorremmo essere altrove’ che solo a pensarci arriva l’emicrania, dolce e serena compagna di viaggio delle giornate di molti di noi. E come se non bastasse, subentra la preoccupazione: chi ci penserà al ‘rito di passaggio’, al funerale? Chi eseguirà per filo e per segno le mie ultime volontà, chi porterà le mie ceneri a Timbuktu a piedi scalzi e camminando all’indietro, seguendo il percorso pre-stabilito da me medesimo prima di ‘oltrepassare il guado’? Leggi il seguito di questo post »

Paolo Di Paolo, LONTANO DAGLI OCCHI

Feltrinelli, Milano 2019

 

di Sara Notaristefano

 

Apparentemente, Lontano dagli occhi è un romanzo incentrato su tre donne molto diverse tra loro, accomunate solo dal fatto di essere incinte: Luciana lavora per un giornale che sta per chiudere; Valentina è una studentessa di diciassette anni e Cecilia conduce la propria esistenza dividendosi tra una casa occupata e la strada, in compagnia del suo fedele cane, Giobbe. Nessuna di loro ha desiderato la propria gravidanza, che, però, lungo una scia di sentimenti contrastanti, viene portata avanti. Con l’avvicinarsi dell’estate, attraverso i propri corpi trasformati da creature che s’impongono con involontaria e inconsapevole perentorietà, il loro stato diventa sempre più evidente, non soltanto a se stesse ma anche agli occhi altrui. Un’evidenza simile non riguarda, invece, i rispettivi partner: l’Irlandese, chiamato così per via dei suoi capelli rossi; Ermes, compagno di scuola di Valentina, e Gaetano, che lavora in una tavola calda di via Taranto, non recano con sé alcun segno fisico che tradisca la loro condizione di futuri padri, perciò possono nasconderla, perfino dimenticarla, rimuoverla, mimetizzandosi tra la gente che popola le strade della capitale. Metonimia di un’Italia che stenta a evolversi in un Paese degno delle proprie potenzialità, Roma non è soltanto il vivace scenario dell’eccesso di visibilità dei manifesti elettorali che la tappezzano e di una folla in delirio per lo scudetto dei giallorossi, ma è anche la città che sembra aver fagocitato, strappandola agli occhi del mondo, Emanuela Orlandi. Leggi il seguito di questo post »

Matteo Bussola, L’INVENZIONE DI NOI DUE

Einaudi, Torino 2020

 

 

di Sara Notaristefano

 

In una Verona dipinta non tanto come la «città dell’amore» di Romeo e Giulietta ma come il luogo dove quell’amore «è morto», vivono Milo e Nadia, quarantaseienni, sposati da quindici anni. Lui ha rinunciato all’ambizione di diventare un architetto, ripiegando su un impiego da cuoco; lei coltiva il sogno di scrivere un romanzo «magnifico», che, negli anni, si rivelerà più che altro un’interminabile fatica. L’inizio del loro rapporto risale all’ultimo anno del liceo, quando Milo trova scritta sul banco una semplice domanda: “Chi sei?”. Per giorni, i due ragazzi, che frequentano classi differenti, si scambiano numerosi messaggi, senza, però, incontrarsi di persona. Come se fossero predestinati ad amarsi, Milo e Nadia s’incontreranno, anni dopo, a una festa, dando vita a un idillio che sfocerà nel matrimonio. Con il trascorrere del tempo, però, Milo e Nadia si allontanano sempre di più; in particolare, a spegnersi gradualmente è la «selvaggia», vitale, empatica ragazza di cui lui si è innamorato anni prima. Nadia sembra restare con lui per inerzia, come se la promessa dell’indissolubilità del loro amore fosse più importante dell’effettivo perdurare del sentimento stesso. Milo attribuisce a se stesso la responsabilità di aver trasformato il loro «amore in cenere» ma, ancora profondamente innamorato della moglie, non vuole arrendersi e, per riconquistarla, ricorre allo strumento che li ha legati anni prima: la scrittura. Sotto falso nome (Antonio), scrive un’e-mail alla moglie, che gli risponde, avviando una corrispondenza che si fa tanto più fitta quanto più labile diventa, nelle loro parole, il confine tra menzogna e confessione. Leggi il seguito di questo post »

La Parola della Grande Madre

una prosa di William Vastarella

Ho perso la mia vita a lavorare di cesello,

a limare le matite, la grafite, mentre con uno sbuffo

le pareti dello stomaco di pietra della terra, in un istante,

della stessa materia fanno un diamante.

 

So che c’è una parola, una parola così potente, così potente da mutare il pensiero in cose.

Fu trovata anticamente nei tentativi delle infinite permutazioni dei suoni possibili della lingua dell’Homo Sapiens.

Ventisettemila anni fa tra gli spasmi la disse una giovane donna morendo durante il parto.

Questa donna è sepolta come Magna Mater, coronata da una calotta di conchiglie, nella grotta di Santa Maria d’Agnano sotto Ostuni.

Per secoli è stata venerata sotto diversi nomi divini dai popoli della Terra.

La parola fu custodita da una casta di sagge incorruttibili quando le donne erano matriarche. Leggi il seguito di questo post »

Martino Marazzi, SBAGLI

Castelvecchi, Roma 2019.

 

di Sergio D’Amaro

È il quarto lavoro narrativo di Martino Marazzi, italianista dell’Università di Milano, molto noto per i suoi libri sulla cultura italoamericana. A suo modo, questi suoi Sbagli (scanditi in cinque capitoli che si chiamano “Accettazione”, “Esterno-ambulatorio”, “Ninfeo”, “Refettorio”, “Cella”) sono quelli di un’umanità perennemente alla ricerca di sé stessa nello smarrimento esistenziale e nel labirinto delle decisioni e dei rapporti che si intrattengono con gli altri. Il narratore-regista dei racconti, detto «il Maresciallo», è ospite di un manicomio sulle cui pareti incide i momenti salienti di cinque vite dall’esito negativo. A volerlo racchiudere in una formula di comodo si potrebbe utilizzare l’espressione ‘confesso che ho sbagliato’ (parafrasando il nerudiano «confesso che ho vissuto»), sottolineando che molti furono gli esordi con buone intenzioni, molti i cambiamenti nell’attuarle, molti i compromessi dolorosi e le dolorose rinunce, impossibile la bontà nel perseguirle. Vi si parò davanti un destino cinico e baro, un’accolta di diavoli traditori, una perseverante sfiducia negli altri, una crescente insofferenza. Si spense ogni evidenza sulle anomalie della normalità e il manicomio così, divenne la sede naturale per emettere diagnosi di disumanizzazione. Leggi il seguito di questo post »

Il prossimo numero di «incroci» (il quarantunesimo, in uscita a giugno 2020) sarà dedicato a un tema tanto universale e vasto da averci finora sconsigliato di affrontarlo: l’amore. Ma, dopo 20 anni di lavoro, ci è sembrato naturale farne il nodo tematico delle nostre creazioni e riflessioni. In vista di quel fascicolo, proponiamo qui un breve racconto dedicato a quello che Novalis definiva «il più alto mistero», ovvero l’unione fra l’uomo e la donna come iniziazione al sacro (e al sacro guarderà un successivo numero di «incroci»: il nostro cantiere ferve…). Marcel, il protagonista di queste pagine, avverte che l’amore è inconscio anelito all’Unità, tensione alla totalità dell’essere, ricordo oscuro di un tempo che precede la Storia, prima della Caduta; l’amore è desiderio di un incontro preparato dai primordi e atteso nel tempo, è l’appuntamento che chiude il Cerchio del Tempo.

Il vicolo era stretto, maleodorante. Una fioca luce appannata disegnava tremolanti losanghe sul selciato lucido di pioggia. La lanterna cigolava e oscillava al vento gelido dell’Armorìca. Anche il sorriso di santa Novala appariva ora spento, smorto, appannato. Sotto l’arco dell’edicola sbrecciata, i bianchi occhi di calcare parevano indicargli un’insegna corrosa, sbiadita dal tempo. “Töhne” si leggeva a rilievo nel muro smattonato, soffocato dalla muffa verdastra che ricopriva l’edificio. Leggi il seguito di questo post »

 

Valeria Traversi, Io non sono Clizia, Raffaelli, Rimini 2019 

 

di Graziana Moro

Giovedì 28 novembre 2019, alle ore 18, si presenta presso la Libreria Laterza di Bari (v. Dante, 53) un romanzo che restituisce a una storia d’amore tutta l’importanza che ebbe per la costituzione della poetica di Eugenio Montale; al contempo in queste pagine si rende giustizia a una straordinaria figura femminile, Irma Brandeis, americana, studiosa di letteratura mistica e italiana. A discuterne con l’autrice sarà il prof. Ferdinando Pappalardo. Con l’occasione pubblichiamo una recensione di Graziana Moro

Io non sono Clizia è una negazione affermata con veemenza. Valeria Traversi, docente di Lettere, ripercorre in un romanzo edito da Raffaelli (Rimini 2019) la storia d’amore di Irma Brandeis ed Eugenio Montale – alias Clizia e Arsenio –, romanzando il loro rapporto che si dipana in un gomitolo costituito da realtà e allegoria. Irma Brandeis, professoressa americana, studiosa ed esperta di letteratura italiana, vuole vivere la propria vita ‘in quanto’ Irma e nega l’alterità poetica di Clizia perché insegue prioritariamente l’uomo e non il poeta. Figlia di ebrei progressisti di origine austriaca, ricerca l’Arte, la Bellezza e l’Amore facendosi guidare dal fil rouge delle parole che non possono restare nomina nuda, ma risultano funzionali alla definizione di quella concretezza che spiega la verità delle cose. Leggi il seguito di questo post »

di Daniele Maria Pegorari

Dall’11 al 13 ottobre 2019 l’Auditorium La Vallisa di Bari ha ospitato Binari paralleli. L’avventura di un soldato, monologo di Maurizio De Vivo tratto da un racconto di Italo Calvino. L’ultima replica è stata introdotta da Daniele Maria Pegorari che in questo intervento ci conduce alla scoperta di questo testo e della sua segreta ‘teatralità’.

«Io scriverei racconti per tutta la vita. Racconti belli stringati, che come li cominci così li porti a fondo, li scrivi e li leggi senza tirare il fiato, pieni e perfetti come tante uova, che se gli togli o gli aggiungi una parola tutto va in pezzi»: così scrive in una lettera privata un ventitreenne Italo Calvino, testimoniando, sin dalle sue origini, una predilezione per la narrazione breve (il racconto, la fiaba), pur mentre portava a termine la stesura del romanzo d’esordio, Il sentiero dei nidi di ragno, che uscirà per Einaudi il 10 ottobre dell’anno seguente, il 1947 (l’epistola citata, datata 8 novembre 1946, era indirizzata a Silvio Micheli ed è compresa in Lettere 1940-1985, a cura di L. Baranelli, A. Mondadori, Milano 2000, p. 167). Leggi il seguito di questo post »

Vincenzo Elviretti, Il vento. Racconto di una canzone, Catartica, 2019

di Paolo Leoncini

Si tratta di un «racconto», costituito di 44 capitoletti, ambientato a Bellegra, paese in provincia di Roma. Elviretti continua una rappresentazione critica della vita di provincia, già motivo di Pietre, la precedente serie di racconti del giovane scrittore laziale. Qui, l’elemento critico si rende più evidente come «crisi» dell’esistenza, nella cittadina di provincia, che diventa simbolo di una crisi sociale ben più ampia. L’autore riprende, attraverso un intento «costruttivo», tra il saggistico e il narrativo, gli elementi dell’indistinto, dell’ambiguo, dell’equivoco, fino alla sovrapposizione tra l’immaginario e il reale; tra il testo della «canzone» di Fabietto, – «io narrante», protagonista del racconto, i cui versi finali dicono: «E no, e no/qualche cosa farò/e no e no/nel vento ti ucciderò» − e il fatto reale dell’uccisione di Baffo, personaggio eminente della vita di Bellegra, ma tutt’altro che amato, e soprattutto da Serafino, già suo partner omosessuale, che compirà il delitto: («Accanto a Baffo hanno trovato i versi di una canzone, scritti per terra con un pennarello, una di quelle del tuo complesso», p.86), dice il padre a Fabietto. Qui, si potrebbe già rilevare una contaminazione interna tra la «decisione», dinanzi ad un amore tradito, finito, di «fare qualcosa», e il farlo secondo i versi della canzone, ovvero uccidendo «nel vento»: ciò vanifica la «decisione» stessa sul versante volitivo e la dissolve nell’irreale del «vento», cioè del transeunte, dell’inesistente, tratti psicologici che effettivamente connotano il mondo giovanile della cittadina, in accezione allusivo-simbolica ad una contemporaneità, dove i moventi dell’interiorità volitiva si scambiano con i moventi della momentaneità immaginativo-regressiva, consentendo fatti che sono, in effetti, reali, ma non realisticamente motivati. Leggi il seguito di questo post »

Marilù Oliva, Musica sull’abisso

HarperCollins, Milano 2019

 

 

di Milica Marinković

Sotto i portici e tra le mura della città che più di qualsiasi altra sa del Medioevo dotto e ancora pulsante, si nasconde una passione particolare per la lingua latina che riprende fiato in una classe bolognese. Il liceo che porta il nome di uno dei simboli della letteratura classica, Marco Tullio Cicerone, diventa luogo di una singolare unione tra i compagni della classe quinta G.

Oltre che dalla posizione sociale altolocata delle loro famiglie, questi studenti sono legati anche da qualcos’altro. Quello che per la maggior parte dei giovani rappresenta l’incubo degli anni del liceo, una materia morta e risorta per farli sudare e studiare, per gli alunni della quinta superiore di questo liceo bolognese è una passione viva, una conoscenza che potrebbe condurli verso il senso/segreto della vita e della morte. I ragazzi padroneggiano con maestria la lingua degli antichi e si sentono superiori a tutti coloro che non sono in grado di capire il fascino del latino. Tutto ciò, però, li porta in un’altra direzione, verso il luogo del sangue, del sacrificio, dell’aldilà. Leggi il seguito di questo post »

 

Marco Missiroli, Fedeltà

Torino, Einaudi 2019

 

 

 

 

di Milica Marinković

Dopo aver amato i suoi libri precedenti, ho aspettato con impazienza l’annunciata uscita del nuovissimo libro di Missiroli, Fedeltà, pubblicato a febbraio da Einaudi e scritto da un Missiroli diverso, caratterizzato da uno stile riconoscibile ma nuovo, meno timido e più diretto, nei dialoghi molto colloquiale, dalle frasi spesso non compiute, ogni tanto in dialetto. Dalle prime righe ci si imbatte nel malinteso attorno al quale è costruito questo romanzo e che mi fa pensare subito all’opera di Camus, autore amato da Libero, il protagonista del precedente libro dell’autore riminese. Un malinteso come tanti altri sui quali si poggiano i destini descritti nei romanzi o nelle vite, per i quali si può ottenere una fortuna, ma anche perdere tutto, matrimonio compreso, se stessi compresi. Leggi il seguito di questo post »

Ruggiero Stefanelli, FORSE QUASI CHISSÀ

Il seme bianco, Roma 2018

 

 

 

di Daniele Maria Pegorari

Quando la sapienza dell’italianista di lungo corso – maturata dietro una cattedra di Letteratura italiana nell’Università di Bari – e una consuetudine con la pedagogia s’incontrano con un’esperienza familiare di disabilità drammaticamente reale, può accadere che ne scaturisca un’ottima lezione, magari un ciclo di conferenze, preceduto o seguito da un saggio testimoniale. Ma quello che è successo a Ruggiero Stefanelli – che, allentati gli impegni scientifici, ha già pubblicato nel 2012 un romanzo, Ombre sulla basilica, e nel 2014 una raccolta lirica, Poesie dal tempo – va oltre l’autobiografia familiare per divenire ‘racconto di realtà’, vale a dire una storia d’invenzione, ma così fondata sull’esperienza reale e sulla documentazione neurologica e pedagogica, da offrirsi come una lettura avvincente, senza perdere in precisione e credibilità. A trenta anni esatti da quell’intenso cult movie che fu Rain man (che vinse un Orso d’oro a Berlino e ben quattro Oscar, fra cui quello a un magnifico Dustin Hoffman, la cui difficilissima interpretazione si meritò anche un Golden Globe e un David di Donatello), il nuovo libro di Stefanelli, Forse quasi chissà, ci trasporta ancora nel misterioso mondo dei Disturbi dello Spettro Autistico (o semplicemente ‘autismo’), una patologia complessa, sempre più frequentemente diagnosticata, che inficia gravemente non solo l’interazione sociale e la capacità di generalizzare gli interessi (come nella consimile sindrome di Asperger), ma anche la facoltà linguistica. Non sempre questi disturbi si associano a un ritardo mentale più o meno marcato e questo contribuisce a fare del soggetto autistico una persona potenzialmente consapevole del proprio stato di disagio, senza però agevolarlo nel processo di autocontrollo e superamento degli ostacoli che sono di natura primariamente neurologica e non psichiatrica. Leggi il seguito di questo post »

Alberto Schiavone, Dolcissima abitudine

Guanda, Milano 2019

 

 

 

 

di Milica Marinković

Torino, novembre 2006 è il titolo del primo capitolo di Dolcissima abitudine di Alberto Schiavone, uscito a gennaio per Guanda. Il lettore potrebbe immaginare una storia contemporanea, ambientata nella Torino degli anni Duemila, ma questo libro è tutt’altro. L’inizio del romanzo è la sua fine. Si comincia da un funerale, dal funerale di Aldo, cliente fedelissimo di Rosa e amico di Piera. Cliente perché questa donna è una prostituta, ormai alla fine della carriera. Amico perché Aldo è forse l’unico uomo che abbia saputo avvicinarsi anche al cuore, non solo al corpo, della Madame dai due nomi. Il cuore appartiene a Piera, mentre il corpo è chiamato Rosa. Rosa in arte e artigianato, Rosa virtuosa di quel mestiere antico. Leggi il seguito di questo post »

Chiara Cannito, Corro

Quorum Edizioni, Bari 2018

 

 

 

 

di Francesco Brandi

Un giorno, qualcuno, in un lontano 2050, studiando sui libri di storia le vicende legate alla distruzione della Siria, terra antichissima, culla di una primissima civiltà comune Mediterranea, a sua volta origine della cosiddetta civiltà europea, che oggi ancora e stentatamente cerchiamo di costruire, dovrà riconoscere l’imperdonabile colpa delle masse di brave persone che dal privilegiato osservatorio dell’Occidente, distratte perché alle prese con le mirabolanti funzionalità dell’ultimo smartphone, con le prodezze circensi dei calciatori nella finale di Champions, con le trovate propagandistiche del più arguto dei populisti, non si sono accorti, letteralmente, dell’immane tragedia consumatasi poco di là dal mare, verso Est. Leggi il seguito di questo post »

Onofrio Pagone, IO NON HO SBAGLIATO

Giraldi, Bologna 2016.

 

 

 

 

di Chiara Cannito

Un’affermazione dura perentoria, decisa, che durante la lettura del romanzo si comprende, motiva e sostanzia. La protagonista che Onofrio Pagone racconta magistralmente compie delle scelte nella sua vita che mai rinnega, mai ricusa, mai rimpiange. Io non ho sbagliato è tante cose insieme: tranche de vie, romanzo di formazione, autobiografia. È forte e fragile come la protagonista, sofferto e sorprendente nello stile, tenero e terribile nella trama. Giocando tra queste ossimoriche emozioni, si dipana la storia di una giovane rumena che scappa, incinta, dal suo paese per dare un futuro migliore a se stessa e al figlio nella città di Bari, dove già vive sua madre. E qui inizia il dramma. È una narrazione che mette i brividi, fa riflettere, apre il cuore, ma anche la mente. Tutto è racchiuso in quegli occhi della copertina: che aggrediscono con la loro dolcezza, che ti sfidano con la loro fragilità, che ti braccano con la loro muta richiesta di aiuto. Prova Pagone, e vi riesce bene, a contaminare generi e linguaggi, immagini oniriche e impietosi interni.

Proviamo a percorrere adesso la trama del romanzo descrivendola per ‘quadri’. Ad accompagnarci in questo tour è Marc Chagall.

Il violinista – 1911 Dusseldorf, olio su tela

Primo quadro: Il violinista, ovvero l’infanzia rubata.«Quella volta con Gheorghe fu bellissimo. Sentivo il vento nelle mie orecchie ed era come una voce amica che sussurrava […]. Nulla poteva presagire cosa ci sarebbe successo». Il violino che era stato per la giovane donna metafora di un amore adulto, capace di ridisegnare i destini incrociando vite e intrecciando sogni, si rivela un’illusione. La voce del violino getta la maschera: era bugiarda. False e ipocrite quelle dichiarazioni di amore eterno. Archiviata l’infanzia la giovane donna si trova a pensare il suo essere mamma. Contro tutti e contro tutto. Leggi il seguito di questo post »

Giovanni Verga, NOVELLE RUSTICANE

Edizione critica a cura di Giorgio Forni

Fondazione Verga / Interlinea, Novara 2016

 

 

 

 

di Francesco Giuliani

Per gli studiosi e gli appassionati di Giovanni Verga si tratta di un evento davvero importante: ci riferiamo alla pubblicazione dell’edizione critica delle Novelle rusticane, da poco in libreria per i tipi della casa editrice novarese Interlinea, a cura di Giorgio Forni, ricercatore dell’Università di Messina. L’iniziativa rientra nella nuova serie di volumi progettati per l’Edizione nazionale delle opere di Giovanni Verga, a cura della Fondazione Verga di Catania. Leggi il seguito di questo post »

Andrea Vaccaro, mio grande amore
Guida Editori, Napoli, 2015, 371 pp.

 

 

 

 

di Marta Lentini

mio grande amore, romanzo ambientato a Roma, scritto nel 2006, è un’opera autobiografica di Andrea Vaccaro, scrittore e pittore, che qui si fa cantore di un grande amore, che rievoca, nel suo tragico espandersi, fino alla conclusione attesa, ma pur sempre dolorosa. L’Amore è quello di Andrea, professore di liceo, per Maura, conosciuta adolescente tanti anni prima, e vagheggiata nel suo quotidiano per sempre, fino al reincontro di tanti anni dopo, disturbato e intristito dalla scoperta di un percorso tragico di vita che l’aveva portata alla prostituzione e alla droga. Con  un linguaggio diretto e generosamente descrittivo di ogni moto interiore del protagonista, che si lega indissolubilmente a una Idea filosofica dell’esistenza, e a una visione unitaria di un perché delle cose quasi fatale, e con un andamento tra il poetico e il retorico, Vaccaro ricostruisce fedelmente la storia di un amore sognato, pensato, combattuto, che non viene quasi mai realmente agito. Leggi il seguito di questo post »

Il ritorno alla fisicità e l’illusione della leggerezza.
Intervista a Tommaso Pincio

 

 

a cura di Anna Acquaviva

Dodici e-mail, un aereo, due bus, una valigia azzurra, un registratore, un taccuino, un foglio con delle domande; un bar, un caffè, una cioccolata calda, una ragazza, uno scrittore e poi Roma, la città eterna. La mia intervista a Tommaso Pincio è il risultato di una prima corrispondenza epistolare nata via e-mail con lo scrittore, il quale ha accettato con estrema gentilezza di incontrarmi per questa chiacchierata, svoltasi a Roma il 28 dicembre 2016, presso la sala da tè di un bar ‘palermitano’ della capitale. Le domande formulate nascono dal desiderio di soddisfare le mie curiosità sui legami che la vita e le opere di Pincio intrecciano con il mondo reale e con quello virtuale, approfondendo aspetti anche distanti dall’ambito letterario. Mi accorgo che con le sue risposte l’autore ha deciso di regalarmi qualcosa di sé, il suo personalissimo punto di vista sulla società attuale.

È noto al pubblico dei lettori che lei utilizza uno pseudonimo per firmare le sue opere. Da cosa nasce questa esigenza? Perché ha scelto di chiamarsi Tommaso Pincio?

C’è una motivazione che per anni avevo rimosso. La scelta della pseudonimia è nata dalla difficoltà di vivere nel mondo in cui allora ero inserito, quello dell’arte; darmi un nuovo nome è stato per me un modo per ridarmi un’altra vita. Le sembrerà un po’ assurdo, ma il mondo dell’arte è molto piccolo e ristretto. Vivevo come un problema la mia posizione nel mondo dell’arte, non sopportavo più certe dinamiche in cui pure mi ero pienamente inserito: ero il direttore di una galleria molto importante a Roma, ma questo lavoro era un ripiego rispetto alle mie ambizioni da ragazzo, poiché la mia massima aspirazione, all’epoca, era quella di fare il pittore. Lavorare in quell’ambiente era il ricordo costante del mio fallimento e fonte di frustrazione continua. Quando ho iniziato a scrivere romanzi, avevo in realtà alle spalle già testi di critica artistica che sono confluiti nel libro Scrissi d’Arte, ma sentivo l’esigenza di scrollarmi di dosso questo mio passato, tutto ciò che esso comportava, e per questo, per ridarmi una nuova identità da scrittore ho adottato uno pseudonimo. Tommaso Pincio nasce dalla volontà, non so quanto consapevole e conscia, di darmi il nome di uno dei personaggi del mio primo romanzo, M., lo stencil Tommaso Pincio [col termine stencil si indica la personalità di un individuo abituato a pensare in maniera piatta, che non prevede imprevisti; n. d. r]. Scelsi questo nome perché al suo interno è contenuto un riferimento topografico importante per me, legato alla città di Roma. Il Pincio è un luogo molto legato alla mia infanzia, che ancora oggi frequento con piacere. Il nome Tommaso, invece, nasce dall’affinità che sento con san Tommaso. Se non ci fosse stato questo riferimento così esplicito a Roma non so se oggi mi chiamerei Pincio, forse no. Anche se molti collegano il mio pseudonimo al nome di Thomas Pynchon, la scelta non ha nulla a che vedere con questo scrittore americano, che è per me un autore importante, ma molto distante dal mio modo di scrivere e lontano dalla scelta dello pseudonimo. Leggi il seguito di questo post »

 Adele Desideri, La figlia della memoria
Moretti & Vitali, Bergamo, 2016, 168 pp

 

 

 

 

di Marta Lentini

In ogni atto mnemonico esiste un bisogno di rimettere insieme frammenti di un dialogo con noi stessi, affinché i fili immaginari di un passato, sentito come labile e doloroso, si annodino in qualche modo al senso del presente e al nostro appartenervi. La figlia della memoria è un libro nel quale l’autrice interroga il passato nell’intento di ricomporre la propria corporeità profanata, per conquistare la coscienza di quel confine attraverso il quale l’ineffabile si riconosce violato dalla percezione di un’altra coscienza. Da questo incontro/scontro di percezioni deriva tutto il futuro: l’io percepisce il porsi del tu come alterità in grado di rispettarlo oppure di annientarlo e violentarlo. Sullo sfondo di una Torino elegante si fa strada, pur se evocato e descritto  attraverso una leggerezza linguistica inscindibile dalle radici toscane dell’autrice, l’affiorare, in un senso di buio sempre più penetrante e invasivo, dell’intuizione, già presente nelle evanescenze memoriche dell’infanzia, di un tentato incesto subito  da parte dello zio Zeno. Il buio è solo alleviato dal profumo delle giornate spensierate vissute a Valvole, in campagna, dove, pur nella leggera allegrezza infantile, si affaccia l’ombra di una inaspettata e drammatica scoperta della verità latente negli umani  destini: la disuguaglianza tra uomo e donna e la prima intimità sono vissute come una crescita amara nella consapevolezza dell’essere.   Leggi il seguito di questo post »

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«Il latte di Auschwitz»: Edith Bruck e il ruolo del sopravvissuto

intervista di Diletta Bonasia

Dal 19 gennaio 2017 è nelle librerie l’ultimo libro di Edith Bruck, La rondine sul termosifone (La nave di Teseo), struggente e bellissimo racconto della malattia vissuta al fianco del marito, Nelo Risi (su cui si veda, in questo stesso blog, il commosso ricordo Di certe cose che dette da Nelo Risi suonavano molto meglio. È morto l’ultimo grande poeta del Novecento, pubblicato il 19 settembre 2015). In occasione della Giornata della Memoria della Shoah, di cui la scrittrice italo-ungherese è una delle espressioni italiane più alte e toccanti, pubblichiamo un’intervista inedita che, nel marzo del 2016, ella ha rilasciato nella sua casa romana a Diletta Bonasia, che alla Bruck ha dedicato la sua tesi di laurea in Sociologia della letteratura, conseguita presso l’Università di Bari.

 

Vorrei partire da Lei come scrittrice: che rapporto ha con i suoi libri e con la scrittura?

Io non rileggo mai i miei libri, dal momento in cui li hanno pubblicati. Non li riapro nemmeno, perché la maggior parte dei libri mi toccano molto da vicino. Non riesco a rileggerli perché mi ricordano quello che ho vissuto e mi fanno male. Per quanto riguarda il mio rapporto con la scrittura, diciamo che per me la lingua italiana è una specie di schermo, di maschera, perché nella mia lingua materna sicuramente non avrei scritto quello che ho scritto, è una lingua che sento molto più profondamente rispetto all’italiano. Una parola in ungherese significa, per me, moltissime cose: se io dico in italiano ‘pane’ per me significa soltanto ‘il pane fatto dal fornaio’, mentre se scrivo in ungherese la stessa parola, essa mi rievoca mia madre che infornava cinque-sei pani alla settimana, rivedo la sua figura, il suo viso, il rosso del fuoco del forno a legna. È un dolore profondo. Già attraverso la parola in sé riesco a rivedere mia madre e mi tocca molto più da vicino, è molto più doloroso. Mentre scrivere in italiano è per me quasi un’autodifesa da quello che scrivo. La lingua italiana è stata anche la lingua che mi ha dato un’identità, e allo stesso tempo per me è più facile, attraverso l’italiano, dire qualunque cosa, anche una parolaccia. Se scrivessi in ungherese non potrei scriverla perché mi vergognerei, mentre in italiano per me è più facile scrivere qualsiasi parola. È una fortuna che io possa scrivere in una lingua non mia. Leggi il seguito di questo post »

 

MICHELE MARI, EURIDICE AVEVA UN CANE 

EINAUDI, TORINO 2015

 

 

 

di Alida Airaghi

 

I diciotto racconti di Michele Mari recentemente riproposti da Einaudi avevano già conosciuto un notevole successo nel 1993, al momento della prima edizione presso Bompiani.

Mari è oggi considerato fra i maggiori scrittori italiani, tra i più originali e inventivi; forse addirittura il più sfrontatamente e polemicamente coraggioso. Il suo linguaggio arcaicizzante -al limite del manierismo-, imbevuto di letterarietà (colto, allusivo, spiazzante), lo situa nella scia di pochi altri grandi scrittori del nostro 900: Gadda, Landolfi, Manganelli. 

Il racconto che dà il titolo al volume (Euridice aveva un cane) è forse l’unico che si dipana in maniera più tradizionale, narrando delle vacanze estive del giovane protagonista nella casa dei nonni al paese di Scalna, e del suo perpetuo e tormentato rapporto con i vicini: chiassosi, spavaldamente ignoranti e lietamente burini, pertanto in soddisfatto connubio con l’ideologia dominante del tempo e dei luoghi. Michele invece, giovane intellettuale solitario e rabbioso, riesce a sopportare solo la frequentazione dell’anziana signora Flora, del suo cane Tabù e della loro vecchia casa (“credo che tranne le lampadine non ci fosse un solo oggetto posteriore alla guerra”). Leggi il seguito di questo post »

Marilù Oliva, Lo Zoo 

Elliot, Roma 2015

 

 

di Antonio Giampietro

 

«Ozotti solai omiuntu»: quella frase misteriosa, quel canto ancestrale e mitico, litania profonda di un mondo sognante e lontano, ripetuta tre volte dalla Strega in chiusura dell’ultimo romanzo di Marilù Oliva, rende perfettamente il senso autentico a cui è giunta la scrittura dell’autrice bolognese. Questa si mostra, infatti, capace di dar vita, con le parole, a storie tanto fantastiche e imprevedibili, quanto saldamente ancorate in una realtà concretissima. Quei segni vivi attirano lo sguardo vorace del lettore, che non può smettere di cercare il libro, rapito dalla curiosità di sapere cosa accadrà al rigo successivo, cosa rivelerà la prossima parola, e allo stesso tempo spingono la sua mente a interrogarsi sul presente, sul mondo vasto e terribile in cui vive e in cui gli pare che tutto quell’assurdo, quell’imponderabile, possa accadere. Leggi il seguito di questo post »

LA  NEVE  A  ZURIGO   

Ricordo di Giorgio Messori a dieci anni dalla morte

 

 

di Alida Airaghi

 

Nel volume di Giorgio Messori Storie invisibili c’è un racconto intitolato La neve a Zurigo. E’ il primo che ho letto, con commozione particolare, perché io ho conosciuto Giorgio proprio a Zurigo, e dopo di allora ci siamo persi di vista. Insegnavo italiano per il Consolato dal 1978, lì vivevo con mio marito Siro Angeli e con le nostre due bambine. Il lavoro che svolgevo non era gratificante, ma era molto ben retribuito, e mi dava la possibilità di vivere con relativa tranquillità la mia non facile situazione familiare in una città bella, efficiente, ricca. Leggi il seguito di questo post »

 

levi1Lo spazio bianco di Primo Levi

 

  

di Sara Ricci

Che suono ha il silenzio? Me lo domando sfogliando lentamente questo libro consunto, le cui pagine si tengono insieme grazie a un filo di cotone sottile che resiste ostinato alle angherie del tempo, mentre la carta, ingiallita e sfatta, reca tracce del passaggio delle nostre mani. Prima edizione, 1947. Ricordo di averlo letto a dodici anni, in una estate afosa e interminabile trascorsa al mare, alternando nuotate e compiti per le vacanze, solfeggi parlati e cantati e risoluzioni di accordi. Ricordo l’odore di quelle pagine, sopravvissute a numerosi traslochi e all’aria salmastra che le aveva rese umide e grevi, come la terra di un cimitero. Seguivo le macchie di muffa disegnando nella mente figure senza senso. E leggevo cose incomprensibili. Scritte con parole nude, spoglie, prive di orpelli. Soppesate al milligrammo, con una bilancia di precisione, stilistica e morale, che impedisse l’esubero, il superfluo, il sentimentale.  Leggi il seguito di questo post »

Giuseppe Lupo, L’ALBERO DI STANZE

Marsilio, Venezia 2015

 

 

 

 

di Lino Angiuli

 

«Se questi muri potessero parlare!». Quest’ultimo romanzo di Lupo, composto e proposto lungo il solco di una cifra ormai riconoscibile per originalità e polluzione fantastica, scioglie la riserva recata da questa frase ‘ipotetica’ e, grazie all’inesauribile motore narrativo di cui dispone l’autore, fa in modo che i muri non solo parlino, ma ‒ a chi abbia orecchi per intendere  ‒ raccontino in lungo e in largo le storie “incredibili” di una famiglia che, una generazione dopo l’altra, ha impregnato di vissuti e vicende ogni spazio della propria casamadre, innalzata in verticale, una stanza dopo l’altra, a partire dal fondatore delle fondamenta, tale Redentore Bensalem, prima cavapietre poi mugnaio in quel di Caldbanae, luogo già presente in altre pagine narrative di Lupo. Un albero di stanze che coincide con un albero genealogico, a sua volta coincidente con un albero di storie vissute e narrate all’insegna di una mitologia familiare dal sapore “magico”, che si svolge lungo il Novecento e che giunge fino alla vigilia del primo gennaio 2000, quando svoltano i calendari, i secoli e i destini. Leggi il seguito di questo post »

 

FRANCESCO FORLANI, Parigi, senza passare dal Via

LATERZA, 2013

 

 

di Alida Airaghi

 

“I miei erano molto preoccupati, in quel 21 giugno del ’91, perché non avevo un lavoro, non parlavo la lingua e non eravamo ricchi di famiglia. Io mi ricordo soltanto che ero partito con la valigia da mimo, di cartone puro, che scendendo dal treno si era rotta, aperta in due, come se quei milleduecentonovantuno chilometri se li fosse fatti tutti da sola”. Non è l’amarcord di un tradizionale emigrato che dal nostro sud abbia cercato lavoro e successo all’estero, ma la rievocazione antiretorica che Francesco Forlani fa della sua partenza da Caserta, dopo la laurea in filosofia, per raggiungere Parigi: città-mito in cui ha cercato riparo e consolazione, soprattutto intellettuale, al sorgere del ventennio berlusconiano, e dove saltuariamente risiede tuttora. Leggi il seguito di questo post »

Umberto Eco, Numero zero (Bompiani, Milano 2015)

 

di Daniele Maria Pegorari

(autore de Il fazzoletto di Desdemona. La letteratura della recessione da Umberto Eco ai TQ, Bompiani)

 

Dopo la complessa operazione romanzesca del Cimitero di Praga, impegnativa e affascinante per la documentazione storiografica e ancor più per lo ‘scandalo’ filosofico che vi era sotteso, non era lecito attendersi dal settimo romanzo di Umberto Eco un ulteriore passo avanti nella sua riflessione sul conflitto fra realtà e costruzione di verità. La piacevolezza di quest’ultimo libro, insolitamente breve (circa 210 pagine), insolitamente semplice (solo otto personaggi, ma sono appena la metà quelli che effettivamente hanno una qualche consistenza) e ‘aristotelicamente’ compatto (quasi tutto si svolge in due mesi a Milano) consiste non più nel fascinoso turbine degli eventi, nell’ingranaggio complesso che mescola le memorie erudite e l’invenzione fantastica, e nemmeno nell’ammiccamento sornione alla letteratura di genere: solo un presentatore mainstream con la fama di ‘intelligente’ l’ha potuto definire, domenica 11 gennaio, «un giallo», e siccome non gli sembrava abbastanza, gli è parso ancora più ‘intelligente’ definirlo «un noir». No davvero, la piacevolezza di questo libro risiede piuttosto nella semplicità con cui solo un grande scrittore può permettersi di passare, diciamo, dall’enciclopedia all’epitome o, per approssimarci meglio alla tesi, dalla protesta per la fine di una ‘visione enciclopedica’ all’icastica messa a fuoco delle dinamiche attraverso le quali la conoscenza viene spappolata dall’informazione. Leggi il seguito di questo post »

Invito Tezor do Brihandi finale LoRes

Nicola Gliosca, Sep aš  Mena (Giuseppe e Filomena), Tipolitografia Copyart, Termoli 2009.

Id., Hiža do Templari (La casa dei Templari), Palladino Editore, 2010.

Id., Tezor do Brihandi (Il tesoro dei briganti), Fotolitografia Fotolampo, Campobasso, 2011. 

 

 

 

 

di Carmine Tedeschi

 

Paese di minoranze linguistiche, l’Italia. Il che, ovviamente, rimanda a minoranze etniche originate da innumerevoli migrazioni in un passato storico di cui, insieme con la lingua, si va perdendo inesorabilmente memoria. Ma c’è sempre qualcuno che a quella memoria, a quella lingua, resta allacciato, ne riconosce la vitalità in quanto radice culturale e la coltiva con passione, remando contro l’onnipotenza del presente che tutto travolge. Leggi il seguito di questo post »

da incroci 29, sezione ‘schede’ 

Peppe FioreNESSUNO È INDISPENSABILE

Einaudi, Torino 2012


di Veronica Di Pinto

 

Nel suo romanzo d’esordio Extension du domaine de la lutte (1994) Michel Houellebecq innesta una «novella d’argomento animale», intitolata Dialoghi tra una mucca e una puledra e ispirata al protagonista in un breve soggiorno di lavoro. La riflessione sulla «bella impressione di vigore» della mucca bretone, che per tutto l’anno pensa solo a brucare, ad abbassare e alzare con regolarità impressionante il suo «musello lustro», è solo apparentemente l’indizio di una «profonda coerenza esistenziale». In realtà l’apparenza è destinata a rivelarsi infida perché nell’essere del bovino in determinati periodi dell’anno, sotto lo stimolo del desiderio sessuale, «si produce una rivoluzione sbalorditiva». Quasi vent’anni dopo l’apologo sembra essere ripreso da Nessuno è indispensabile (Einaudi, 2012), secondo romanzo di Peppe Fiore (Napoli, 1981) – finalista del Premio Biella Letteratura e Industria 2013 – per raccontare, su un registro cinico e comico, la «rada umanità impiegatizia» contenta e soddisfatta di lavorare in quello che sembra un luogo ideale, la Montefoschi, azienda modello di Roma specializzata in latte e derivati. Leggi il seguito di questo post »

 


FERDINANDO CAMON, LA MIA STIRPE

GARZANTI  2012

di Alida Airaghi

Nel 1978 Camon aveva pubblicato “Un altare per la madre”, romanzo epico e tenerissimo che concludeva  “il ciclo degli ultimi”, fondendo abilmente storia privata e pubblica nell’omaggio commosso e riconoscente alla figura materna. Oggi torna, con questo bel volume edito da Garzanti, su quegli stessi temi, rivisitati con uguale e partecipe emozione, ma con una più matura e sottilmente ironica visione di ciò che in questi trent’anni siamo riusciti a raggiungere, o a perdere, come collettività. E in uno stile più sciolto e leggero che nelle precedenti prove. Leggi il seguito di questo post »

 

MATTEO MARCHESINI , ATTI MANCATI, VOLAND, ROMA 2013

ID., SOLI E CIVILI, EDIZIONI DELL’ASINO, ROMA 2012 

 

di Alida Airaghi

 

Prende le mosse un po’ faticosamente, questo romanzo del giovane e agguerrito critico Matteo Marchesini, ambientato in una Bologna  piuttosto provinciale e riconoscibilissima nelle sue strade e nei suoi personaggi, dai più famosi  ai più caratteristici nella loro stramba originalità (“un teatrino di figure petroniane”). Protagonista e evidente alter ego dell’autore è l’ intellettuale trentenne Marco Molinari, “eccessivo, intricato e sarcastico”, “micidiale…e aleatorio”, dal “poligrafismo un po’ presenzialista”, che accumula sulla sua scrivania libri e articoli, assorbito ossessivamente in un lavoro “che non ha orari e quasi non ha gesti, asettico, ripulito da ogni sgradevole contatto umano”. Leggi il seguito di questo post »

 

Alberto PrunettiAMIANTO. UNA STORIA OPERAIA, Agenzia X, Milano 2012.

Stefano ValentiLA FABBRICA DEL PANICO, Feltrinelli, Milano 2013.

di Daniele Maria Pegorari

 

L’incubo delle morti bianche per amianto, qui opportunamente chiamate «omicidi bianchi» (pp. 15 e 114), è il tema di un piccolo libro del livornese Alberto Prunetti (1973), per metà romanzo familiare e per metà reportage sulle condizioni di lavoro di un ‘trasfertista’, ovvero un metalmeccanico che, nel tentativo di guadagnare qualcosa in più per i suoi figli, accetta il ruolo di operaio non ‘fra le linee’, ma nei cantieri spesso molto distanti dalle sedi centrali delle aziende per cui lavora, regalando ai suoi il mito tutto proletario di un uomo che non lavora in fabbrica, ma le fabbriche le smonta e le rimonta anche in un giorno. Leggi il seguito di questo post »

 

Gaetano Giuseppe Magro, Formalina

Fara Editore, 2013

di  Carmine Tedeschi 

Un uomo e una donna, entrambi convinti di trovarsi nel pieno della maturità psichica, intellettuale e sessuale, di avere quindi il razionale dominio della propria volontà e delle proprie pulsioni, si incontrano per una di quelle combinazioni inattese della vita e si amano con trasporto e vigore giovanile. Ma ben presto interviene qualcosa di indefinibile a raffreddare e a troncare quel rapporto che pareva così solido. Niente di nuovo, in fondo, una storia come tante. Che presenta però alcuni elementi di novità. Leggi il seguito di questo post »

Da Incroci 27 – sezione Testi  

Paese di emigrazione o immigrazione, il nostro? Elemento di evoluzione o di involuzione, gli immigrati? Assistenza o abbandono, la prospettiva della popolazione sempre più anziana e longeva? Comunità morte o posticini per turisti, i nostri villaggi di montagna? Tra queste (e non solo queste) contraddizioni si agita il presente della nostra realtà sociale, determinando singoli destini, mettendo vite concrete dinanzi a scelte drammatiche.  Il racconto che qui incrocia “il reale” non si limita a rappresentarlo: nel forzarne i connotati della plausibilità con la maschera della finzione iperbolica, esplora il paradosso di un futuro possibile. Angosciante, ma a suo modo costruttivo.

 Leggi il racconto di tedeschi in formato pdf oppure continua a leggere questo post Leggi il seguito di questo post »

da incroci 27 – recensioni

Carmine AbateLA COLLINA DEL VENTO

A. Mondadori, Milano 2012

di Marilena Squicciarini

 

La cinquantesima edizione del Premio Campiello ha premiato un libro che rappresenta la sintesi del percorso di ricerca di Carmine Abate, La collina del vento. Il romanzo è un caparbio scavo nella memoria, simile allo scavo archeologico nel Rossarco, l’altura calabrese a pochi chilometri dal mar Jonio vera protagonista di queste pagine. Scavo che avviene a più riprese perché a fermarlo sono le difficoltà della Storia, che si abbattono sui luoghi e le persone come il vento, talvolta impetuoso, talvolta lieve carezza. Profondamente avvinta al Rossarco è la vicenda della famiglia Arcuri, che attraversa tutto il Novecento e giunge fino ai nostri giorni. Leggi il seguito di questo post »

 

a proposito di Herta Muller, In viaggio su una gamba sola

di Esther Celiberti  

 

Irene, protagonista di “In viaggio su una gamba sola”, passa dalla Romania alla Germania occidentale. In patria ha già conosciuto Franz che ubriaco parla tedesco con i bambini: “c’era stato un contatto. Un contatto con uno straniero. Un contatto proibito”. Nel dialogo con il responsabile dell’Ufficio immigrazioni gli dice di pensare spesso al passato ma di non avere nostalgia anche se un barista la definisce “di un altro mondo”. Ha fatto richiesta di espatrio e per un personaggio problematico come lei lo sradicamento ha una doppia valenza:dentro di sé e fuori, nel mondo.” Ognuno di quelli che parlavano a voce alta nella sala d’attesa portava in gola anche un’altra persona. Irene conosceva bene l’altra persona che avevano in gola”: gli sguardi dei fuggiaschi dicono la soggezione, il parlare con il dolore di un altro dentro di sé.     Leggi il seguito di questo post »

 

Copertina D. Brown, Inferno

Dan Brown, Inferno, Mondadori 2013

di  Daniele Maria Pegorari

Contrariamente a quanto il barzellettiere ama dire, l’Inferno non è affatto divertente: adulteri sporcaccioni, bulimici impiastricciati, irascibili attaccabrighe, mangiapreti impenitenti, bestemmiatori che manco gli scaricatori di porto, maestri pedofili, truffatori incalliti, diavolacci scorreggioni, sono buoni per gag da quattro soldi, da contrapporre alla presunta ordinarietà delle carole da teatro metafisico e dei cori angelici propri del Paradiso. In realtà il messaggio che bisognerebbe raccogliere dal Poema di Dante è che l’Inferno è il luogo della noia, poiché ogni anima vi è condannata all’immutabilità, all’espulsione dal tempo e dallo spazio, nei quali soli è possibile giocarsi il proprio destino. L’Inferno di Dante è, dunque, il racconto che rende avvincenti, e solo per l’abilità del suo autore, episodi i cui protagonisti hanno perso ogni significato e ogni bellezza, e sono prigionieri per sempre del regno della noia.

L’Inferno di Dan Brown, invece, è il romanzo che rende noioso ciò che altri narratori avrebbero scritto con più ritmo, più mistero, più sensatezza e in meno pagine. Leggi il seguito di questo post »

 

Giuseppe Lupo, VIAGGIATORI DI NUVOLE

Marsilio, 2013

di Lino Angiuli  

Più volte Giuseppe Lupo, originario della Basilicata da anni trapiantato a Milano, ha dichiarato e manifestato l’appartenenza alla linea progettuale prepotentemente segnata dalla narrativa del suo conterraneo Raffaele Nigro, il che mi fa spontaneamente venire in mente quanto scrivevo proprio a proposito dei primi romanzi di quest’ultimo. Scrivevo che, nell’ambito dell’orizzonte culturale meridionale (l’orizzonte in cui scrivono e s’iscrivono le penne di entrambi), con la parola storia è chiamata anche la fiaba popolare, quella sorta di racconto orale in cui la fantasia riesce a liberare tutta la sua capacità di reinventare il mondo attraverso una fabula che generalmente reca, insieme con l’evidente contenuto ludopedagogico, un’istanza morale e persino una weltanschauung. Leggi il seguito di questo post »

da incroci 26 – recensioni

Emanuele TreviIL LIBRO DELLA GIOIA PERPETUA

Rizzoli, Milano 2010

di Marilena Squicciarini

 

La scrittura nitida e accattivante di Trevi, valsa una candidatura al Premio Strega 2012 per l’ultimo lavoro, Qualcosa  di  scritto  (Ponte alle Grazie, 2012), ci convince forse in maniera più incisiva nel romanzo precedente dell’autore e critico letterario, Il libro  della  gioia  perpetua. All’origine della narrazione, quella che non sembra affatto una coincidenza porta un manoscritto nelle mani di uno scrittore, di chi possiede la sensibilità per cogliere la straordinarietà del suo contenuto ma soprattutto della sua autrice: una bimba di otto anni, capace di utilizzare la scrittura come difesa dal mondo incomprensibile che la circonda, in grado di donare a chi legge, agli adulti che incontrano le sue pagine, quella serenità che gli adulti della sua vita non sanno darle. Leggi il seguito di questo post »

da incroci 26 – recensioni

Andrea Bajani, Michela MurgiaPaolo Nori, Giorgio Vasta

PRESENTE

Einaudi, Torino 2012.

di Marianna Comitangelo

 

C’eravamo abituati a credere che l’orfanità dello scrittore contemporaneo, come rottura del vincolo padri-figli e cessazione del patto di solidarietà tra i figli stessi, fosse un fatto inevitabile in una società che sempre più divide e allontana. C’eravamo fabbricati il mito, invero assai realistico, dell’intellettuale-monade, passato dal terreno di una ideale battaglia collettiva a quello di una simbolica sfida personale. Nell’era dei blog e dei social network qualcosa, bisogna ammetterlo, è cambiato. Leggi il seguito di questo post »

 valigia_cartone Veniamo dalla notte e nella notte andiamo

(Vincente Gerbasi)

Burzaco 15 settenbre 1953

 

Caro Ziolonardo  e Ziamarietta e cuggino Frangesco,

 ti vengo affare assapere  con cuesta lettera che ti scrivo annome  puro di papa e mama, siccome che loro sono alfabeti, che  siamo arrivati in Argentina tutto bene graziaddio e così speriamo di voi. Ma doppo un viaggio mangolicani, io mi penzavo di non arrivare più.

I primi giorni sopra al bastimendo abbiamo gomitato puro il stommaco parlanno con decienza. Inbece doppo tanti e tanti giorni di acua e cielo, cielo e acua, il bastimendo è trasuto dentro a un mare tutto marrò, eppoi dentro al porto di Buenossaire. Che non telo pozzo contare cuandè. Là ci stavano a spettare con granda condendezza papa e Ciccillo Tubbanaro, como lo chiamavano al paiese. Inbece qua si fa chiamare don Frazisco.  Leggi il seguito di questo post »

Giovanni Turi su

Giulio Ferroni, Scritture a perdere, Laterza, Roma-Bari 2010

Scritture a perdere, l’agile libello pubblicato da Giulio Ferroni con Laterza nel 2010, ha avuto il merito di ravvivare il dibattito sull’ipertrofia della produzione editoriale e sullo sdoganamento di una forma romanzesca sempre meno letteraria e sempre più commercialmente digeribile (tanto che a breve distanza sono seguiti Meno letteratura, per favore! di La Porta e Non incoraggiate il romanzo di Berardinelli). Leggi il seguito di questo post »

da incroci 25 – sezione schede

Pubblichiamo qui una delle recensioni comparse sul numero 25 della nostra rivista; i tre libri in questione sono i seguenti:

Pietro De Viola, ALICE SENZA NIENTE, Terre di mezzo, Milano 2011;

Piero Simon Ostan, PIEGHEVOLE PER PENDOLARE PRECARIO, Le Voci della Luna, Buccinasco (Mi) 2011;

Luigi Laguaragnella, IN 24 ORE, ilmiolibro.it, 2011.

di Daniele Maria Pegorari

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«incroci» – semestrale di letteratura e altre scritture

direzione: Lino Angiuli •  Daniele Maria Pegorari • Raffaele Nigro

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