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Corrado Alvaro, “Quasi una vita”

Posted on: 20/04/2024

alvaroCorrado Alvaro, Quasi una vita

Bompiani, Milano 2023

di Sergio D’Amaro

Quasi una vita. Giornale di uno scrittore di Corrado Alvaro viene riproposto nei Classici contemporanei della Bompiani (intr. di R. Saviano, pp. 496, € 18,00). È il libro che assicurò al grande scrittore calabrese il premio Strega nel 1951, cinque anni prima della sua morte prematura a 61 anni. Alvaro era già molto noto per i suoi romanzi e racconti, da Gente in Aspromonte a L’uomo è forte e L’età breve. Alternate alla sua intensa attività letteraria e giornalistica (per Il Resto del Carlino, Corriere della Sera, La Stampa), le note del suo diario corrono lungo il ventennio tra il 1927 e il 1947 e colgono nella vivezza degli avvenimenti e delle impressioni il clima dell’epoca, il difficile cammino della propria vita, gli incontri più vari e anche più strani di una ricca esperienza maturata anche nei suoi reportages dall’estero.

Dentro le pagine del suo quaderno di lavoro c’è la quintessenza di una sostanza morale, di un carattere psicologico, di un destino personale che attraversa il campo periglioso della storia per farsi necessità di testimonianza. Testimoniare è una delle parole più belle ed impegnative, perché è così che si qualifica il passaggio incessante dei giorni che ci toccano in sorte e che vanno vissuti onorandone la precarietà e la ricchezza. Alvaro aveva presentato questo suo lavoro scrivendo: ‘’La gente come me non ha una favola di vita. Perciò questo libro non è né un’autobiografia né un diario. Era una raccolta di appunti che dovevano servire […] per le opere, i saggi, i racconti che avrei scritto’’. Ma il libro è qualcosa di più, è una specie di confessione, un conforto, un dialogo con sé stessi, è anche una spietata analisi dell’umanità, dei suoi difetti, delle sue ipocrisie, delle sue messinscene. All’orizzonte si staglia intero il profilo del regime fascista e la fine tragicomica delle sue glorie di cartapesta.

La penna di Alvaro si fa ironica, sarcastica, sardonica, ha il bisturi dell’anatomista che svela il vero tessuto della storia sempre in bilico tra dramma ed operetta, coglie scorci di città, di umanità dolente e gaudente, di esibiti distintivi e di croci conclamate. Per il Nostro, scrivere significa anche prosciugare terapeuticamente la nostra anima, denudandola fino all’osso, fino a sottoporla ad un vetrino asettico e lampante. Molte pagine sono dedicate a Roma, colta prima e durante la guerra nei suoi scorci dal basso, per strada tra la gente, nei momenti diversi della giornata e nelle sospensioni notturne. La Roma del nuovo impero pulsa di varia umanità, si arrabatta come può ai cambi di scena, appoggiandosi all’incredulità, alle speranze e alle false promesse. Scorrono i monumenti, i palazzi, gli interni anche modesti, le contraddizioni di una realtà che resta inestricabile e misteriosa e che si ricompone nella sua materia mobile e densa. Per le vie corre la traccia di un potere retorico e indisponente, che incita alla bellicosità patriottarda mentre si concede ai piaceri della tavola e del sesso.

Solo chi sperimenta il limite della speranza può capire più in profondità la vita. Succede ad Alvaro fuggiasco dalla persecuzione dopo l’8 settembre ’43, accolto in una famiglia di Chieti. In questo tratto del diario sono belle le pagine dedicate alla gente più umile che non dimentica la solidarietà, all’incontro con una bambina nel cui sguardo ingenuo figurarsi il futuro, la salvezza di un’umanità rinnovata nel suo impianto morale. L’infanzia commuove Alvaro perché in essa ci sono tutte le meraviglie e le sofferenze che verranno, in essa è specchiata la nostra stessa età all’alba della vita. Un intervallo di consolazione prima di ricadere nella forzata inerzia, nel disinganno, nell’angoscia, pur nella residua fiducia nell’uomo e nella sua capacità di resurrezione. All’indomani della Liberazione, lo scrittore ritrova l’Italia umiliata e in ginocchio sulle macerie da rimuovere. Saranno cambiati i suoi abitanti, saranno cambiati i suoi atavici costumi? Soccorre la frase di Lampedusa nel Gattopardo: ‘’Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi’’. Gli anni della ricostruzione saranno lunghi, e saranno duri a morire vizi privati e pubbliche virtù. Alvaro non se ne farà illusioni, ancora scandendo la sua lucida analisi su di un altro capitolo di storia italiana.

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