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Antonia Abbattista Finocchiaro, Quando è tempo di Puglia

Posted on: 19/08/2022

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Antonia Abbattista Finocchiaro, Quando è tempo di Puglia

Grafica&Arte, Bergamo 2015

di Carmine Tedeschi

Di romanzi storici, di quelli con tutti i tratti distintivi del genere, non se ne vedono molti sul mercato editoriale in questi ultimi anni, dato il calo dei lettori appassionati di certe storie. Ma anche perché è facile immaginare quali e quante ricerche richiedano quei romanzi, quanti dati e cronologie da far quadrare, quanto acume letterario e accortezza compositiva nell’innestare una storia di immaginazione in un degno e preciso contesto. Ciò, almeno, se si vogliono evitare accostamenti strampalati e arrivare a un prodotto finito degno della sua tradizione. Cruccio che, si ricorderà, era già del Manzoni, quando il genere doveva ancora nascere nella letteratura italiana. Molto meno laborioso, non solo per l’autore ma anche per il lettore, sviluppare e seguire una vicenda di pura invenzione ambientata nella contemporaneità.

       La premessa vale, in positivo, per questo romanzo integralmente storico che però, dal titolo, storico non tanto appare, quanto piuttosto… geografico, richiamando l’occhio mentale del lettore su un territorio, la Puglia, che ora è una delle regioni italiane con confini codificati e precisi, ma fino un secolo e mezzo fa era un pezzo del regno di Napoli, indefinito nei confini e nella nomenclatura delle sue zone interne.

       Per giunta, non solo la Puglia è interessata da questa narrazione, ma si può dire mezza Italia, dal bergamasco al sud, percorsa da quegli instancabili viaggiatori che erano i mercanti nel sec. XVI.

       La narrazione storica corrente, riguardo all’Italia di quell’epoca, si concentra sulle vicende legate alle guerre di religione, all’impero di Carlo V, alle conseguenze economiche, purtroppo per noi critiche, della scoperta del Nuovo Mondo.   Ma poco o nulla dice delle minute vicende locali che segnarono il lentissimo, inavvertibile declino degli stati italiani, del loro inarrestabile decadere sotto le dominazioni straniere e a causa delle lotte intestine, e  del fiorire, nonostante tutto, della mercatura che tracciava e consolidava una rete di traffici da nord a sud. Sì, anche in quel sud che sui libri di storia appare come una landa desolata tornata allo stato primitivo.

       Per rendersi conto dell’’effettivo modo di vivere nelle province italiane alla metà del Cinquecento, specie meridionali, bisogna cercarlo nelle pagine di storia locale, nei palazzi storici e nei ruderi dei monumenti superstiti, nelle informazioni che ci forniscono le cronache dell’epoca, nell’araldica che ricostruisce le famiglie nobili, eccetera.

       Tutte queste notizie si trovano utilizzate abilmente  nella narrazione del presente romanzo, ed è tanta la loro abbondanza, tale la documentata precisione delle descrizioni, da dare l’impressione  che sia quella, la vera materia del narrare, lo scopo recondito dell’Autrice; mentre la vicenda inventata sarebbe un pretesto  letterario (un pretesto di tutto rispetto) per aver modo di illustrare lo stato all’epoca delle città attraversate, coi loro luoghi, monumenti, quartieri, palazzi, nonché la rete di traffici che fra loro si svolgeva. Se è così, il romanzo risponde in pieno a ciò che il lettore si attende dal genere storico.

       Sulla vicenda è presto detto: si tratta delle avventure di un giovane, figlio naturale e finto adottato di un importante mercante bergamasco, inviato dal padre ad estendere i traffici in Puglia. Vi sono colpi di scena, rapimenti, ruberie, assalti, accuse di omicidio e di eresia poi sventate, cadute e resurrezioni; persino magherie e stregonerie (che al sud non possono mai mancare) e un finale, se non proprio lieto, certo costruttivo ed ottimista. Non manca il contrasto generazionale padre/figlio, aggravato da sospetti e malintesi, elemento narrativo forse un po’ troppo insistito e ripetuto. E neppure mancano i connotati tipici del romanzo di formazione: tratti che avvicinano il genere a epoche un tantino a noi più prossime. 

       Impossibile enumerare le città e i luoghi attraversati dalla narrazione. Tra questi sicuramente Lanciano, che nessuno oggi sospetterebbe essere stato nel Cinquecento un importante snodo marittimo di traffici mercantili. E poi Foggia, Bari, Lecce, Molfetta, città in cui la vicenda si conclude.

       Il libro si lascia leggere con interesse crescente; basta assuefarsi all’inizio a quella lingua che è una mimesi quasi naturale della lingua elegante e raffinata in uso nelle corti e tra le famiglie nobili (o aspiranti nobili) dell’epoca.

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