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Lirio Abbate, Faccia da mostro

Posted on: 15/04/2022

abbate, faccia da mostroLirio Abbate, Faccia da mostro

Rizzoli, Milano 2021

di Giuseppe Gentile

Sin dall’unità d’Italia la nostra penisola ha vissuto periodi a metà fra lampante e nascosto, senza alcuna via di mezzo, soprattutto se pensiamo a quel particolare momento che parte dagli anni Settanta col terrorismo rosso e nero, finendo alle continue sentenze che attestano in maniera ormai inequivocabile la collaborazione di una parte, o parti, dello stato (con la lettera minuscola) con la criminalità organizzata di qualsivoglia genere. Ecco che, essendo tutto parte di un complesso disegno storico governato da chissà chi, gli uomini ne diventano i principali attori. Sarebbe semplice, a questo punto, pensare ai cavalieri del bene che combattono contro quelli del male; vi è tuttavia una terza categoria di umano che si insinua fra le pieghe di questo eterno dualismo: i buoni travestiti da cattivi e viceversa o, peggio ancora, i cattivi che vengono scambiati per buoni senza servirsi di travestimento alcuno, quelle pecore che a causa di un imponderabile scherzo del destino sono anche lupi. Uno di questi loschi figuri, riconosciuti di fatto dal ‘cronico’ susseguirsi degli eventi e dei processi, sempre tuttavia al riparo da condanne, è tale Giovanni Aiello che diviene, attraverso varie e cupe collaborazioni, uno dei personaggi più ambigui della nostra storia, diviso fra polizia, servizi segreti, terrorismo, mafia, ‘ndrangheta e chi più ne ha più ne metta. 

Lirio Abbate, giornalista sotto scorta a causa delle sue inchieste, non ultima quella su Mafia Capitale, prova a tratteggiare, unendo i punti di discontinuità, i tratti fondamentali di un personaggio così ‘sporco’ da conservare «sempre un lato che rimane in ombra» (p. 7). E se allora la prerogativa è questa, che senso ha sottoporre il lettore a qualcosa che non si riuscirà mai a decifrare per intero? La risposta la troviamo fra le righe di questo libro, un minotauro con la testa da romanzo e il corpo da dossier poliziesco, laddove a farla da padrona non è la certezza di una fiaba a fine lieto o tragico, ma al contrario l’incertezza di una realtà indagata ed accertata nei processi (che ormai si susseguono da un trentennio) e l’inafferrabilità dell’ultimo tassello, un panorama senza l’orizzonte, un puzzle al quale manca sempre l’ultimo pezzo. Ma cosa sarà mai l’ultimo pezzo di un puzzle o un piccolissimo tassello mancante in un mosaico? Purtroppo, è quel particolare che, nonostante la chiara visione aerea e globale, può rendere un processo giudiziario (soprattutto se pensiamo alla criminalità organizzata) nullo. È così che il male sconfigge il bene, nei particolari, fra lo spazio che divide il frutto dalla sua buccia, fra gli intrecci latenti di un tappeto che copre un pavimento già abbondantemente dissestato. 

Abbate si fa portatore, consapevolmente o no (non ci è dato saperlo), di una correlazione che va di pari passo con le caratteristiche facciali di Giovanni Aiello, alias Faccia da mostro, riconoscibile a causa di un viso deturpato che lo rende, allo stesso tempo, angelo e diavolo a seconda del lato dal quale viene notato. Un uomo la cui presenza è accertata visivamente, ma mai certificata: Aiello, infatti, muore senza alcuna condanna, come se la famosa nuvola di Fantozzi abbia contribuito, nel suo caso, non a rendere la sua vita complicata e infernale in terra, ma a proteggerlo dall’occhio imparziale della giustizia, che nei suoi confronti e in quelli della donna misteriosa legata a Gladio che lo ha spesso accompagnato, sembra aver girato sempre la testa dall’altra parte. 

Tutto inizia dal ‘dissociato’ (come Giovanni Falcone preferiva chiamare i collaboratori di giustizia a scapito del termine pentito) Nino Lo Giudice, ma non si finisce. Dopo aver chiuso le pagine su sé stesse, solo l’afflusso di inchiostro si interrompe e la storia torna a nascondersi, non appena il destino introduce nuovi personaggi i cui nomi sono sempre gli stessi, una lista di buoni oltre ogni sospetto e cattivi dal colletto bianco e alti graduati militari pieni di greche e medaglie sulla propria giacca, in barba a Magistrati, uomini di scorta, donne e bambini innocenti, piegati al suolo come ginestre sotto una tempesta di sabbia e di cui, a parte giorni dedicati, nessuno parla. Alla fine di questo libro non troveremo il disvelamento e l’ordine, ma solo un altro filo per completare quella coperta dal quale in ogni momento vengono fuori nuove immagini, che ci costringono a disfarne una parte per cercare di capirci qualcosa. Purtroppo, però, a differenza di Penelope, il nostro Ulisse stenta ancora ad arrivare. Nel frattempo, i Proci hanno divorato Itaca dall’interno.

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«incroci» – semestrale di letteratura e altre scritture

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