Quando / Una poesia di Fabio Franzin
Posted 28/09/2012
on:La morsa della crisi non accenna ad allentarsi. Anzi nuovi dolori si aggiungono ai precedenti, nuove frustrazioni schiacciano i già pallidi segnali di speranza dei mesi passati. Nessuno come il poeta trevigiano Fabio Franzin (1963) ha saputo farsi interprete dei sentimenti operai in questa età di deindustrializzazione. Nel numero di “incroci” in uscita nel prossimo dicembre i lettori troveranno una recensione al suo ultimo bellissimo libro “Margini e rive”. Qui sotto, invece, si può leggere un suo inedito.
Fabio Franzin, Quando
Il cassintegrato culla la sua emicrania
vestendo il nulla delle ore con la pelle
rossa del divano, contando con l’alluce
destro le stecche oblique della tapparella.
È tutta nelle tempie, oggi, l’angoscia,
un pulsare ovattato dall’analgesico,
soffuso dalla penombra. È tutta esterna
alla realtà, adesso, in un torpore che è già
sonnolenza e altrove, un imbuto d’assenza
dove il futuro, scivolando via, si ingorga,
crea un tappo di melma e paure, segatura
e rimorsi ormai lontani. Quando ora è solo
un avverbio di tempo, una colpa innocente.
Dice che alle sedici torna a casa la moglie,
e un po’ prima deve tirarsi su, sciacquarsi
il viso, farsi trovare indaffarato, magari
con l’anta in cucina, quella con la cerniera
che non tiene, tenersi stretto il presente
con le viti degli occhi, prima che esploda.
*
Quando sogna, nei suoi sonni brevi e fragili,
vive lunghe storie incasinate in cui è ridicola
comparsa nella bolgia di officine piranesiane.
Sotto le volte infrante dei lucernari, clangori
e boati e grida umane, in quella penombra
istoriata dai fumi, abbagliata dalle colate
e dagli sprizzi di scintille, deve imparare
un nuovo mestiere, conquistarsi il posto
tanto agognato. Ma non gliene va mai bene
una. O non riesce a sollevare l’incudine per
portarla sopra il banco, o le placche cadono
dalle rastrelliere prima che possa afferrarle.
Nessuno poi viene in suo soccorso, e il capo
reparto passa lì davanti scrollando la testa,
oppure gli chiede il cambio di turno proprio
per la sera che suo figlio ha la recita all’asilo.
Il sudore che inzuppa la tuta non è di fatica,
ma l’ansia dell’imbranato che non sa niente,
che non sa più come dimostrare perlomeno
la sua buona volontà. Quando si sveglia ha
ancora l’eco dei richiami incavolati dentro
la testa. Le mani che avvitano il filtro della
moka, tremano come prima, nel girone che
continua ogni giorno nell’inferno della sala.
1 | Fabio Franzin
30/09/2012 a 14:43
Ringrazio “Incroci” per aver ospitato il mio testo, e ringrazio di cuore Daniele Maria Pegorari per tutto.
Con affetto. FF