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Carlo Di Lieto, Chi ha paura della psicoanalisi?

Posted on: 18/12/2017

Carlo Di Lieto, Chi ha paura della psicoanalisi?

Genesi Editrice, Torino 2016

 

 

 

 

di Antonio Filippetti

Il titolo di questo nuovo saggio di Carlo di Lieto è di per sé particolarmente intrigante e sulle prime addirittura fuorviante; esso infatti sembra per così dire voler giocare sulla scienza freudiana e invece è un attento e lucido esame della letteratura italiana analizzata appunto col registro della esegesi psicanalitica. Il titolo è in realtà un ‘espediente’ letterario in quanto rimanda a un famoso testo teatrale di Edward Albee, Chi ha paura di Virginia Woolf, laddove il nome stesso della grande scrittrice viene accostato al lupo della famosa filastrocca. E quasi per esorcizzare un’oscura prevenzione, anche il lettore viene invitato a non avere timore di affrontare l’analisi critica della letteratura da un’‘altra’ visuale; Di Lieto ci propone cioè un’interpretazione particolarmente stimolante e per molti aspetti inedita.

Ma lo scandaglio critico proposto ha un altro merito non secondario. Lo studioso, infatti, ci presenta uno spaccato della letteratura italiana, da Dante al Novecento (con l’escursione anglosassone dedicata a Shakespeare), in maniera organica e ragionata; la sua analisi è un lucido ‘resoconto’ di ciò che è stato realizzato nei secoli scorsi. Infatti, gli autori analizzati, tranne il caso di Cesare Viviani, l’unico scrittore vivente preso in esame, sono tutti storicizzati e hanno contributo a plasmare il panorama della nostra storia letteraria. Lo spettro della ricerca, come detto, è assai ampio; si spazia dagli archetipi freudiani dell’inferno dantesco all’‘accidia’ petrarchesca, dalla natura ‘centauresca’ del Principe machiavellico al principio del Piacere di Gabriele D’Annunzio. Ma ovviamente non manca l’analisi dei maggiori autori del nostro Novecento i quali offrono anzi al saggista un terreno di feconda esercitazione critica: il ‘vizio assurdo’ di Pavese, la duplicità di Tommaso Landolfi, il doppio di Carmelo Samonà (una rivalutazione che ha il sapore della scoperta), la ‘negatività’ di Eugenio Montale. E poi l’analisi dei vari Penna, Pasolini, Ottieri, Volponi. Di grande interesse la sezione che si occupa del teatro di Luigi Pirandello e di Raffaele Viviani; per il drammaturgo napoletano è il riconoscimento della sua statura universale: «Viviani è collocabile tra la tragedia greca classica e le avanguardie storiche […] il teatro di Viviani deve essere visto dal di dentro,  dove recitare e riflettere significa cercare una ‘ratio’ complessiva alla scena, senza mai prescindere dalla visione unitaria dell’autore-attore».

In un panorama critico sempre più parziale e asfittico, laddove registriamo quasi la rinuncia a un’analisi storica complessiva di ciò che è insito nella storia letteraria, l’impegno di Di Lieto va sicuramente accolto come la testimonianza di un rigore esegetico grazie al quale è possibile rintracciare  in bella evidenza i segni distintivi della nostra cultura e tradizione.

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