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Eugenio Lucrezi, Bamboo Blues

Posted on: 13/03/2021

Eugenio Lucrezi, Bamboo Blues 

nottetempo, Milano 2018

 

 

di Antonio Perrone

Le capacità fonetico-ritmiche di un verso percepito alla lettura come una sequenza di veri e propri ritmemi, ovvero unità lessicali indipendenti da un punto di vista sonoro, nonché un procedimento di messa a nudo delle forme metriche svolto dal ruolo percettivo e straniante dei fenomeni di allitterazione e consonanza, inseriscono le linee di Lucrezi in quella antitesi tra riconoscimento e visione del segno linguistico che dalla critica formalista della letteratura alle sperimentazioni verbo-visuali della nuova avanguardia poetica, continua a influire sui modi di fare e studiare poesia.

L’arte retorica del poeta è in questo volume strettamente connessa con un’istanza sonora. La musica è “misurata ad orecchio”, e in seno a un ritmo prevalentemente ascendente – le sillabazioni endecasillabo/settenario, le dodici misure del blues – si può facilmente individuare una tendenza alla sperimentazione di metri di ascendenza classica: martelliani, endecasillabi di quinta, alessandrini, bisillabi isolabili in forme pregrammaticali, ternari.

La prosodia di Lucrezi ricalca il paradosso di una protoforma orale, è al contempo oratio soluta e compositio, dunque oratio perpetua, ovvero «[…] il discorso nella sua enunciazione, l’articolazione della parola nel naturale fluire del linguaggio» come stigmatizzato nel secolo scorso dalla trattatistica strutturalista (Meschonnic, Traitè du rythme, 1998). La sua è una strenua ricerca della parola suono, di una phonè che, se da un lato rimanda a una sorta di ripresa del canone decadente, dall’altro si spinge nuovamente in avanti, verso uno sperimentalismo non ancora sondato. Ed ecco che allora nei suoi componimenti la parola «si anima, si fa inquietante, costringendo il lettore a prestare un’attenzione particolare. Egli cerca quasi sempre di evidenziare la distanza che intercorre tra le parole e le cose, per cui, in qualche modo, crea nodi e grovigli sintattici che, a mio avviso, propongono una visione completamente nuova del mondo e delle orme metaforiche attraverso cui si cerca di definirlo» (Mario Persico, Una lettera su Bamboo Blues, p. 88).

Giano bifronte o centauro primolevico – egli è scienziato e letterato, poeta e musicista – Eugenio Lucrezi offre un panorama completo delle forme del versificare tardonovecentesche, seppure in una veste ulteriormente rinnovata, dalle istanze del poema in prosa ravvisabili nel dialoghetto in versi in apertura (p. 9), al pastiche linguistico del latino, dell’inglese e dell’italiano: «Nos sumus non. Son io che sono / per rem che incertamente, in gran brillanza / balugina interposta, in tal maniera / da farsi bella per insussistenza» (Son io. Non sumus nos. Non sono stato, p. 13); dai distici in rima alternata di ascendenza caproniana (Scurandera, p. 61) fino ancora alla sintassi onirico-accumulativa degli endecasillabi zanzottiani, nel componimento a lui dedicato: «Veramente poeti i camminanti / del crinale d’oriente, sopra l’alpe, / roccioso agglomerato dell’eterno, / cimento della frana e dell’ascesa» (Rigoni Stern, Zanzotto, p. 74).

Bamboo blues è, come si evince, un libro stratificato, un’opera che richiede una doppia lettura, e nella ricerca dei testi nascosti di cui il poeta si mostra abile rapsodo, e nella valorizzazione degli aspetti semantico-logici della costruzione grammaticale dei singoli versi. Un libro «scritto per essere letto», a voce alta, sebbene lontano dal registro basso colloquiale teorizzato dalla linguistica morfologica, un libro a pieno titolo “performativo”.

Bamboo blues non è un’opera per il grande pubblico ma è un’opera che al grande pubblico guarda, in sordina, nell’andamento ipnotico di un canto misterico «orfico», nella messa in mostra di un bagaglio culturale formato sul contemporaneo, sulla vita, sulle esperienze personali di un singolo che mira a farsi moltitudine. Eugenio Lucrezi raggiunge in questo libro quell’alto grado di stilizzazione formale che, sebbene non cristallizzata in forme che sono copie del medesimo, in eidola platonici di bassa e scarsa mimetica, risulta ai suoi fedeli lettori una chiara sphraghìs, una firma, un’impronta di quello che è ormai definibile come un suo peculiare codice del fare poesia. 

1 Response to "Eugenio Lucrezi, Bamboo Blues"

Ottima introduzione ad una poesia così ricca di musica, così viva, così capace di coinvolgere!

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