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Lorenzo Annese, Vita da Gastarbeiter

Posted on: 21/05/2021

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Lorenzo Annese, Vita da Gastarbeiter

Stilo editrice, Bari, 2021

di Antonio Lillo

Lorenzo Annese è probabilmente una figura assai poco conosciuta in Italia. Riveste, invece, a leggerne l’autobiografia, Vita da Gastarbeiter pubblicata nel 2021 da Stilo Editrice, una sua importanza esemplare in quella sorta di “storia minore” che caratterizza le vicende del nostro popolo. Bracciante agricolo meridionale, nato e cresciuto ad Alberobello nell’estrema povertà degli anni della guerra, emigra in Germania nel 1958. Lì, in parte grazie alla sua intraprendenza e alle sue indubbie capacità, in parte grazie all’occasione propizia, diventa il primo operaio italiano assunto dalla Volkswagen, poi sindacalista addetto al rapporto con gli italiani assunti dopo di lui in fabbrica, poi primo membro straniero del Comitato interno, attraverso cui cerca di favorire l’integrazione degli altri emigrati, creando un vero e proprio modello di riferimento, fino a intraprendere per un breve periodo la carriera politica nel comune di Wolfsburg, dove tuttora vive.

Il libro, scritto con la collaborazione di Pasquale Annese, suo nipote, pur non essendo un’opera prettamente letteraria, si caratterizza per una scrittura piana e piacevole, tesa all’aneddotica, all’universalità del messaggio, indirizzandosi a un pubblico di qualsiasi età e grado di istruzione. Ha, però, importanza soprattutto come testimonianza che assume, di volta in volta, il punto di vista degli ultimi, con grande partecipazione emotiva del suo autore, con un richiamo altissimo a un messaggio laico e mutualistico di solidarietà umana, e col tono pacato e mai aggressivo di chi per tutta la vita ha praticato il mestiere di appianare le divergenze culturali fra popoli diversi (quello che oggi viene definito counselling interculturale).

Nelle sue 185 pagine possono delinearsi, per sommi capi, tre parti fondamentali, caratterizzate dalla testimonianza diretta dell’autore e dalla sua voce pacata, persino nei momenti di massima indignazione. Nella prima parte, vengono descritte le condizioni miserevoli e durissime dei contadini del Sud, durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale: dallo sfruttamento lavorativo dei bambini alla totale mancanza di diritti e difese dei più poveri. Chi scrive è rimasto particolarmente colpito dall’episodio di due donne, madre e figlia sedicenne, che rimaste senza capo famiglia, ucciso al fronte, per non morire di fame vengono spinte a prostituirsi da soldati dell’esercito liberatore americano. Nella seconda parte, invece, passando attraverso il lungo viaggio e il profondo senso di spaesamento culturale di chi emigra, si descrivono le condizioni di disagio degli emigrati all’estero, utilizzati prima come manodopera a basso costo (ma “Gastarbeiter” da cui il titolo del libro, è il “lavoratore ospite”, destinato a rimanere per poco, rimarcando la precarietà della sua posizione) e poi come operai assunti in fabbrica quando, cercando di migliorare le proprie condizioni, gli stessi provano a integrarsi, a lottare attraverso le rivendicazioni sindacali, ben evidenziate nelle loro dinamiche interne nella terza e ultima parte. Ed è allora, a un livello più profondo, che emergono le ragioni economiche e politiche, lo spirito dell’epoca (la “storia maggiore”) che hanno condizionato l’enorme flusso migratorio che ha caratterizzato l’Europa nel dopoguerra, non solo dall’Italia. Annese, in questo, è molto bravo: cerca di capire e di spiegare in maniera semplice i meccanismi complessi che hanno segnato la nostra storia recente, e la problematica mai risolta di un sentimento identitario lacerato dalla separazione dalla propria terra d’origine.

Chi sono io? continua insistentemente a chiedersi, per tutto il libro, ben sapendo che per lui e tanti come lui, questa domanda non avrà risposta. «L’emigrazione mi ha costretto a un’esistenza scissa, ha fatto di me un nomade, non soltanto geografico, ma anche nella mente, nella coscienza, nel cuore: ogni giorno attraverso il confine che separa due culture, varco una linea immaginaria che distingue due lingue, mi muovo incessantemente tra due mondi oltremodo diversi, divido il mio affetto tra i cari nelle mie due patrie. Mi chiedo: chi sono io? Sono il mio passato che domina il mio presente? O sono il mio presente che supera il mio passato? Sì: chi sono io? Per un emigrato porre una domanda simile spesso significa evocarne un’altra: cosa sogno io? Sono i miei sogni l’espressione di un rimpianto per una terra d’origine? Sì, spesso. In che lingua sogno? Sovente in tedesco. Lo iato che lacera la mia esistenza non viene ricomposto nemmeno nei vagabondaggi notturni della mente».

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