incroci on line

Andrea Genovese, Idilli di Messina

Posted on: 26/03/2022

idilli_g

Andrea Genovese, Idilli di Messina

Ed. Pungitopo, 2021

di Carmine Tedeschi

Nel gustoso articolo di apertura dell’ultimo numero di Robinson (n. 268; 22  gennaio 2022) dal titolo Giovanni Verga ora scriverebbe Mastro don Bezos, Francesco Merlo così scrive: «Si portano sempre appresso la Sicilia, questi grandi siciliani, e trovano nel mondo, vale a dire nella geografia, la metafora della storia che avevano già in testa. E qualche volta accade il contrario: portano il mondo dentro la Sicilia.» Una riflessione che si attaglia come un perfetto prodotto sartoriale a questa raccolta di liriche, si direbbe riassuntiva, di Andrea Genovese.

     Qui, non tanto la Sicilia intera, ma è la città di Messina a funzionare come metafora di base che si allarga alla visione universale della storia contemporanea. Si allarga per folgoranti analogie che bruciano lo spazio-tempo, passando da luoghi concreti, ben noti ai messinesi (il porto, i quartieri, i paesi intorno, i Peloritani), coinvolgendo i tratti fisiognomici dell’isola (il vulcano, il mare, lo stretto, gli arcipelaghi), fino a cogliere le medesime suggestioni in ogni altro luogo indeterminato, percorso e rivissuto con gli stessi sussulti emotivi. Simultaneamente, il presente si profila, per analogia o più spesso per contrasto, sullo sfondo della Storia e del mito onnipresente, al punto da perderne i contorni specifici, da non potersi più distinguere in quanto spazio-tempo qui ed ora.  Non diversamente i tratti della storia personale si fondono con quelli della storia collettiva nell’arco di una vita spesa a scrivere e a tradurre, tra Sicilia, Milano e Francia.

     Componenti radicali, queste, fedelmente rispecchiate nel complesso piano dell’espressione. Alla cui base vi sono le tre lingue (siciliano, italiano e francese) familiari all’Autore. A prima vista il siciliano appare confinato a qualche termine sparso e raro, oltre che a liriche scritte apposta interamente in dialetto. Ma se si leggono le liriche in lingua riflettendo sulle scelte lessicali, si trovano anche lì molte costruzioni modulate dal dialetto, ma usate con la stessa naturalezza dell’italiano parlato e divenute quindi italiano di fatto.

     Salta agli occhi, via via leggendo, una tale capacità di forgiare vocaboli originali impastando rizomi linguistici diversi. Dote cui l’Autore, ben consapevole, allude nella lirica introduttiva dell’intera raccolta velata dalla melanconia dello sguardo retrospettivo: «Ora mi resta il pallido artificio dello stile/al banchetto di Trimalcione/ e non posso vantare alibi/ non ho dinamitato com’era mio dovere/né supermercati né banche/né chiese moschee e sinagoghe/né sedi di giornali e televisioni/né ho sparato contro  i mercanti/di tutti i tempi e templi.» Dove rassegnata nostalgia e accensioni di rabbia si fondono nella rassegna del dare/avere tipico dei consuntivi esistenziali.

     Per questa consumata abilità artigianale e per il ricorso all’uso mitologemico ed insieme quotidiano della lingua, Genovese ricorda da vicino un suo grande e ingiustamente dimenticato conterraneo: quello Stefano D’Arrigo cui, non per caso, è dedicata una lirica allusiva e sanguigna, dall’incipit descrittivo e sognante: «Felinotteri bianchi in molle apnea/grattacieli ingabbiati vele gridano/sfilano avventurieri marittimi re/ scodinzolanti in biglie di schiuma/…» e dalla conclusione irosamente polemica: «Capitani di una plebe/crassa, scendete da cavallo, a duello/ vi sfido nella misura lombarda,/la sciolta spada dell’endecasillabo,/vi voglio sotto questo piombo, in questa/d’evirati cantori allettatrice/proletaria pacifica città».  

     Una nota in calce a questa stessa lirica (La magnolia perduta) avverte che la raccolta prende il via da un omonimo seminario sull’opera dell’Autore, organizzato a Messina nel 2011.  Un riconoscimento che ha trovato poi realizzazione editoriale nel presente testo il quale porta un altro titolo intrigante. Sì, perché il titolo ricalca letteralmente quello di otto liriche di Nietzsche, composte durante o subito dopo il breve soggiorno del filosofo a Messina.

     Non sappiamo l’esatto motivo della sovrapposizione. Possiamo solo supporre che, allo scopo di smorzare l’audacia di un tale accostamento, o più probabilmente per contaminare il riferimento alla contemplazione nostalgica che il termine “idillio” suggerisce con la vis incendiaria di cui abbiamo qui colto un esempio, al titolo segue un sottotitolo di rara efficacia ossimorica: folgore e melma.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

«incroci» – semestrale di letteratura e altre scritture

direzione: Lino Angiuli •  Daniele Maria Pegorari • Raffaele Nigro

disclaimer

Il blog ‘incroci on line’ non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità: per questo non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.
La responsabilità degli articoli è dei rispettivi autori, che ne rispondono interamente.

Alcune immagini pubblicate nel blog sono tratte dal Web: qualora qualcuna di esse fosse protetta da diritto d’autore, vi preghiamo di comunicarcelo tramite l’indirizzo incrocirivistaletteraria@gmail.com, provvederemo alla loro rimozione.

Al lettore che voglia inserire un commento ad un post è richiesto di identificarsi mediante nome e cognome; non sono ammessi nickname, iniziali, false generalità.
Commenti offensivi, lesivi della persona o facenti uso di argomenti ad hominem non verranno pubblicati.
In ogni caso ‘incroci on line’ non è responsabile per quanto scritto dai lettori nei commenti ai post.

Archivi