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Enrico Terrinoni, “La vita dell’altro. Svevo, Joyce: un’amicizia geniale”

Posted on: 24/11/2023

svevo joyceEnrico Terrinoni, La vita dell’altro. Svevo, Joyce: un’amicizia geniale

Bompiani, Milano 2023.

di Sergio D’Amaro

Strane coincidenze tra Italo Svevo e James Joyce, fatali e fortunate, quasi due autori allo specchio, pur appartenendo a due distinte generazioni (Svevo nato nel 1861, Joyce nel 1882). Si sostengono, si aiutano, si scrivono, si corrispondono: la loro ‘’perifericità’’ linguistica e culturale (l’uno triestino, l’altro irlandese), la loro singolarità stilistica, la loro disobbedienza ai canoni e alle convenzioni, li accomuna in un binomio inimitabile. Entrambi attraversano un’Europa in ebollizione, alle prese con una travolgente avanzata capitalistica. Svevo vi partecipa da imprenditore, Joyce da dipendente precario cronico. I due amici sono sintonizzati sulle frequenze capricciose della psiche, formano un rapporto intricato di prestiti, intuizioni, segreti labirinti segnici, le loro vite si intrecciano arricchendosi l’una con l’altra e dando indicazioni e direzioni. Vi regna sovrana l’ironia che è il risvolto della verità esistenziale dell’uomo, della sua condanna a vivere e morire.

Terrinoni in questo libro disegna un inedito ritratto parallelo delle loro vite. Egli è abile nel muovere i fili del tempo e dello spazio, scava nei dettagli minimi della loro biografia (non a caso è il curatore della prima edizione critica italiana di Ulisse con testo originale a fronte e dovizia di apparati), ritrova entrambi impegnati a costruire il loro destino e la struttura fondamentale della loro macchina creativa. Entrambi lavorano sul proprio vissuto per trasformarlo in parole e fissarlo nel più vero e più misterioso racconto della vita umana, concentrandosi sulla dimensione del tempo, inteso meglio come lo spazio-tempo di Einstein e la durata di Bergson, nella considerazione che esso è piuttosto coesistenza e contemporaneità, sincronicità e alternanza tra accelerazione e rallentamento. Come poterono percepire questa nuova dimensione del tempo? È probabile che una delle ragioni fondamentali fosse il luogo in cui nacquero e maturarono: la Trieste post-unitaria per Svevo, l’Irlanda irredenta per Joyce. Due terre ‘’eccentriche’’, cioè lontane dalla centralità delle grandi città occidentali, anche se sia l’uno che l’altro alternarono i loro soggiorni in alcune capitali come Londra, Parigi e Roma (ma Joyce poi vivrà alla fine da esiliato).

Provenienti da terre e culture molto ben individuate, ma periferiche o secondarie, finirono per scelta o per indole per sentirsi appunto ‘’esiliati’’, ‘’esclusi’’; e, nello stesso tempo però, ricchi di uno sguardo obliquo, straniato, trasversale. Il loro multilinguismo fu capace di uno scavo più incisivo e si addentrò nelle stratificazioni sentimentali e morali dell’uomo. Fondamentale si rivelò il punto di vista dell’autoanalisi, l’incessante indagine interiore ed esistenziale, entrando di conseguenza nel regno dell’irrazionale, del vago, del perturbante, dell’alieno ed esperendo stupefatti ed ironici quanto fosse diverso dalla normalità della superficie sociale: quanto fosse diverso, cioè, l’uomo profondo dall’uomo che si mostra nella quotidiana socialità.  

Vale, insomma, per Svevo e per Joyce la contraddizione cruciale tra razionale e irrazionale, unità e caos (il secondo lo chiamerà ‘’caosmos’’), ordine e istinto; e per entrambi vale l’adagio ‘’sempre celerò, mai rivelerò’’, cioè quell’attrazione per il mistero, l’ineffabile, il sacro, il religioso che li avvicinerà anche ai riti massonici. Terrinoni mette in risalto, a questo proposito, anche la comune ossessione per i numeri e per le date (in Joyce in modo quasi maniacale). È probabile che dietro questa fissazione ci fosse una convinzione filosofica e religiosa della circolarità degli eventi. Esemplare la credenza che il tredici simboleggiasse qualcosa di infausto in relazione ai componenti dell’Ultima Cena. Sta di fatto che il 13 settembre 1928 Svevo muore in seguito ad un incidente automobilistico. Ha vissuto forse gli ultimi ‘’cinque o sei anni di felicità’’, come afferma Joyce, alludendo alla gioia dell’agognata notorietà propiziata proprio dall’amico irlandese già famoso. Joyce è felice di aver fatto felice l’amico Ettore Schmitz, italo e tedesco. Ma entrambi moriranno dopo una dolorosa agonia. La malattia è l’altro elemento connaturato alla loro vita, così come il vizio del fumo per Svevo e quello dell’alcol per Joyce. Che strano per entrambi cercare la salute nella causa delle loro malattie! Ma la letteratura si nutre di nevrosi e, nel caso dei due famosi amici, consente una scrittura estremamente originale, in grado di eludere ogni tradizione e creare una lingua del tutto rinnovata.

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