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ORONZO LIUZZI, “Un giorno adesso”

Posted on: 14/01/2024

catturaORONZO LIUZZI, Un giorno adesso

Transeuropa, Massa 2023

di Gina Cafaro

Nonostante la cifra ossimorica, o forse proprio per quella, un monumento al «pensiero schiumoso» è la definizione che sembra aderire meglio a Un giorno adesso, l’ultima fatica poetica di Oronzo Liuzzi, classe 1949, fasanese di nascita e coratino di adozione, performer, poeta, scrittore e artista a tutto tondo. Un pensiero che frulla e mescola minuziosamente al vuoto, alla noia, alla insensatezza del vivere, dense particelle di materia corporea, psicologica, esistenziale, morale, spirituale.

Una poesia in prosa ― punteggiatura sommersa, sotterranea, che presto si dissolve ― procede sdrucciolevole e scivolosa per bivi enigmatici e invitanti in un’altalena di toni e di umori, di atmosfere, di stati esistenziali anche estremi, talvolta in voluto, deliberato, climax. E il lettore è costretto a seguire la flessibilità degli snodi sintattici e semantici, recuperando, dove e come può, ritmo e senso: cosa non facile e, tutto sommato, non richiesta da un pensiero che sceglie la fluttuazione, l’oscillazione e lascia nella indecidibilità perfino soggetto e complemento oggetto, chi fa l’azione e chi la riceve. Divinamente ammainato il principio di non contraddizione, domina l’instabilità, l’«incoerenza caotica» e ogni segmento semantico è contraddetto da quello successivo: «…l’affetto non perde la speranza / nel nulla…».

Il futuro si annuncia come un’ombra, come ombra e come vuoto, destinazione il «macello». Chi scrive è oltremodo sensibile all’ago dell’«ansia la tua», del «pentimento», a quella punta che «scava dentro la tenera carne». Subito dopo una lapidaria invocazione di fratellanza che a poca distanza si ripete, coinvolgendo e catturando l’altro. In bilico, se non in dubbio, il soggetto sintattico e quello esistenziale. Il poeta nella cucina «inchioda la mano» e si inchioda, si àncora al tavolo «inizio novecento», ombelico di un mondo in dissoluzione come il soggetto e il suo corpo, la sua memoria, la sua coscienza.

Dalla parte del vuoto, il vuoto: «…il vuoto è qui», «nello spirito il vuoto svolazza…», «…svuoto stanchezza malinconia ansia nel water». E «vuoto» e «svuoto» indicano il destino del senso che pure si tenta babelicamente di costruire per accumulazione di sostantivi, aggettivi, verbi. Accumulazione e ripetizioni, iterazioni, a creare ritmo e senso e amplificazione emozionale.

Dalla parte del vuoto, l’assurdo della vita umana, una frustrazione destinata al fallimento, dal «ceci n’est pas une pipe» di Magritte, al «troviamo sempre qualcosa» di Beckett. Qualunque cosa è chiamata a testimone della barbarie, del caos, del degrado, fino al colpo di reni che arriva puntuale come un colpo di fucile: «…parto domani è il momento /… una nuova vita ricomincio daccapo».

«Un pane agonizzante duro d’inverno trema / all’urto di una guerra vera…»: se il tremolio si impone come legge universale e angosciosa, riflessa dal linguaggio della poesia, l’agonia è dietro l’angolo per ognuno. Basta un nulla e la collera invade lo spazio, diventa una rabbia fuori controllo, l’angoscia diventa follia e violenza: sentimenti forti, smottamenti degli stati d’animo e forse degli stati di coscienza.

Dalla parte del pieno, le citazioni colte, gli slogan pubblicitari, il titolo di un film, il refrain di una canzone, partigiana o no, frammenti di linguaggi specialistici diversi, l’irruzione di un discorso diretto mimetizzato («una tazza di tè al tiglio grazie») che accampa nelle chiuse formule di cortesia stonate come una campana, e ancora grida, voci di strada. Il tutto senza troppe differenze a fomentare il caos, il turbamento, il disallineamento, lo squilibrio. E le chiuse sono spesso verbi, azioni, enigmatiche: «resta», «emoziona», «offro». La vita è questa assurda mescolanza, ospita tutto, accoglie tutto e come potrebbe essere diversamente? noi siamo tutto quello che esperiamo.

Ma al vuoto si oppone principalmente l’«adesso». Se l’«eccomi» riprende il linguaggio salmico del sacrificio o almeno dell’offerta di sé al destino, un giorno adesso è «ancora un altro giorno» e quel giorno è una goccia di luce «accesa… strapiena negli occhi». Un giorno adesso non è un giorno qualunque di calendario, è il nunc che fa il punto della situazione e insorge per una non cedevole resa, mettendo in scena uno slancio vitale che assurge talora a dimensioni titaniche. Si merita così una sventagliata di istantanee a 360 gradi questo «adesso» che qua e là mette radici meditative. «Adesso» è l’ultima sfida alla disperazione e il «chissà un giorno» che chiude l’opera, non la chiude banalmente con una speranza, ma certo con un’attesa. Del resto Oronzo Liuzzi aveva già scritto: «nei versi verso il disagio chissà forse un giorno / l’armonia il canto sublime innalzeranno gli animi…». Non si farebbe poesia senza confidare nel ruolo salvifico della poesia.  

Al vuoto si reagisce, non c’è rifugio in cui trovare scampo. Non nella quotidianità: i suoi oggetti non confortano bensì aggiungono squallore all’esistenza e spesso sono trappole di finzione, impostura, mistificazione. Non nella tecnologia, se anche la condivisione diventa una scelta informatica; perfino il morire maschera il suo tabù affondandolo nella tecnologia: «dovrò morire prima o poi giusto naturale succede / … interrompo la trasmissione / manca la tazzina del caffé». La quotidianità è tanto il pensare alla morte, con la collera che ne scaturisce, quanto la tazzina del caffè, che non c’è… Ancora una volta la quotidianità non consola, destabilizza più che stabilizzare, intasa la coscienza e la memoria, è una nebbia che ottunde i sensi e offusca, ovatta, la percezione. Enigmatiche le chiuse e dissonanti («l’allegra fanfara suona la morte») e contraddittorie («una festa di colori il tempo»). Il corpo impone la bruta, cieca, nera necessità della fisiologia come paradigma di interpretazione degli eventi storici: «lo stomaco in fermento fomenta disordini».

Su tutto un memento: «nuota la testa di testa devo uscire / esco dalla vita impossibile»: si entra e si esce dalla vita uscendo di testa, folli.

Il presente si sfalda, si assottiglia, si rarefa nei social: la realtà non ha continuità né coerenza, è «sfrangiata» come ogni giornata.

Pure «la ferita innocente abita la terra ormai da secoli / sulla croce… », a fondamento di una stabilità spirituale, o almeno di senso, che può trovare esiti cosmogonici, titanici: «incarno la croce sulla terra…».

Pure «…ancora / rilasso un sorriso con gentilezza…».

 

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