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Barbara Bozzini, “Barbarità”

Posted on: 25/02/2024

copertina BozziniBarbara Bozzini, Barbarità. Nel nome del dolore, dell’amore e dello spirito libero

Attraverso, Viterbo 2023.

di Barbara Buttiglione

«Sei stato il mezzo per riuscire a sentire la vita sua mia pelle». E per questo Barbara Bozzini, autrice della silloge Barbarità ringrazia il suo corpo «che stoicamente ha sopportato la folle corsa senza freni di un’anima istintuale mossa dalla bruciante spinta vitale». Spinta vitale a tinte forti: nero e rosso, nero come il buio, come le ombre, come il silenzio; rosso come il sanguigno desiderio, come il fuoco che brucia le carni, come le «carminie pennellate» che rendono la vita un’opera d’arte.

Una silloge vibrante di incubi stonati, di dolori affilati e pure di voli liberi e tenerezza verso il sé più profondo, il cui cuore preso a martellate si frantuma in «vetri colorati». L’anima/donna di Bozzini anela alla libertà, sebbene a tratti si ritrovi invischiata in necessità e desideri che le impediscono di staccarsi dalla carnalità che pure è il suo bene primario. In alcune liriche l’Io poetico si rivolge ad altri, invocando «amica mia» in cerca di conforto e conferma in una figura sororale; in altre «amico mio» è forse un’entità maschile intima ma distante allo stesso tempo, cui è legata più eroticamente che non sentimentalmente. Elementi naturali, liquidi come lacrime, sangue, saliva, fiume, acqua confluiscono nei versi di Barbara Bozzini, ma anche fuoco, cielo, pietre, rose e spine in un mondo personale nel quale coesistono l’aspetto selvatico e rude dell’esistenza insieme a quello più ideale e pur sempre doloroso, in un gioco di significati invertiti e lemmi traslati.

I titoli di ogni lirica sono essi stessi giochi di lettere, numeri, simboli, coordinate reversibili di mappe interiori che la poeta tenta di svelare, stimolando l’interesse e la capacità interpretativa di chi si accosta alla lettura. Autoconsapevolezza, schiettezza, dura constatazione degli eventi dolorosi marcano il passo di questa silloge urlata dall’abisso di un animo ferito ma in cammino verso la salvezza, forse di là da venire, forse vicina, in ogni caso ricercata, in silenzio. «Sarebbe meglio dormire a terra, su di un fresco prato, restando immobili così da sentire il vento accarezzare la nuda pelle per poi bagnarsi con l’erba del mattino». È la natura a placare l’animo inquieto dell’Io scrivente, la donna ritratta nelle foto sfuggenti e sfocate, che ha bisogno di una favola per dormire.

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