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Francesco Macciò, “L’universo in periferia. S-Oggetti sparsi intorno alla Poesia”

Posted on: 24/03/2024

macciòFrancesco Macciò, L’universo in periferia. S-Oggetti sparsi intorno alla Poesia, Moretti & Vitali, 2023.

di Carmine Tedeschi

       In questi tempi di lamentata o compiaciuta liquidità delle forme in poesia, sotto la fastidiosa ininterrotta pioggerella di verseggiamenti fattincasa e sciamanti via web, fa piacere incontrare in uno snello libro di critica il richiamo ad una smarrita serietà della poiesis. Che non è affatto una laudatio temporis acti, ossia il rimpianto di una lunga tradizione tradita. È piuttosto un ripristino di segnali di pericolo ai bordi d’una pista scivolosa, come quei paletti che indicano agli automobilisti, avventuratisi per strade innevate di montagna, il giusto spazio entro cui marciare. Necessaria misura, insomma. 

       La ricerca di misura, nel nostro caso, si traduce ne «l’intenzione di mettere a fuoco l’identità della poesia in un’epoca in cui essa sembra sbiadita o irriconoscibile», come dichiara l’Autore nella Premessa. Proposito che si concretizza nel breve saggio iniziale Memoria d’amore, dove si esplora il territorio proprio della poesia, lo stato delle cose e, sommessamente, si propone il da farsi. 

       Il nucleo del discorso si rintraccia nell’indicazione del rapporto tra poesia e musica (suono e ritmo) che costituisce nella scrittura poetica la condizione essenziale del fissaggio mnemonico, non solo dei puri contenuti, la cui scelta ottimale si dà per scontata, ma dell’insieme risultante dalla sempre perfettibile fusione significante-significato. «Certamente il processo creativo potrà liberarsi nella fluidità delle forme aperte, ma un legame indissolubile unisce pur sempre la poesia alla musica e la musica alla memoria, in una stretta interrelazione che rende memorabili le immagini e i pensieri consegnati [anche] ad un assetto prosodico…» 

       Se questo è vero, vanno individuati e usati al meglio, per questa specialissima forma di comunicazione polisemica, gli strumenti “tecnici” più adatti, non solo o non tanto quelli che la tradizione critica ha codificato nel tempo, quanto quelli che una vastissima originale “messa in opera” da parte di autori noti e meno noti, antichi e nuovi e nuovissimi, ha proposto e propone alla ri/lettura attuale: ricerca del metro/non metro, del ritmo o della voluta aritmia, delle sonorità lessicali, delle rime, delle pause in forma di spazi bianchi, e quant’altro. Volenti o nolenti, senza questo avvertito apparato formale la scrittura poetica non è più poetica, a dispetto del suo aggiornato maquillage e degli innumerevoli canali offerti dal web: «Solo caricandosi di potenza e di senso, e non chiudendosi in un’impenetrabile sfera di suggestioni private o torcendosi dove l’oscuro diventa astruso, essa [poesia] può smuovere il lettore.»

       Quasi ad esemplificare le osservazioni teoriche, seguono brevi saggi, riuniti sotto il titolo di Intrusioni e dedicati, appunto, a poeti noti (Dante, Pavese, Caproni, Sanguineti, l’argentina Alejandra Pizarnik) o «rimasti nell’ombra, che meritano di essere portati alla luce» (Lorenzo Pittaluga, Giovanni Battista Conrieri).  Puntuali le corrispondenze tra assunto teorico e indicazioni critiche nelle pagine dedicate a Dante (soprattutto nella ricerca dei rispettivi suoni evocati nelle tre cantiche), a Pavese e a Caproni. Meno facile il riscontro a proposito di Sanguineti, la cui intenzionale e sistematica destrutturazione di impianti poematici tradizionali (il suo «radicalismo avanguardistico») rende ardua al lettore la ricerca di senso, che non sia l’atto dinamitardo in sé. Ma «c’è un altro e più convincente Sanguineti. È il poeta meno sperimentale, meno intellettualistico […] di Novissimum testamentum e delle Ballate, opere che si distendono in accenti discorsivi e sviluppi narrativi su una linea novecentesca…»

       Quanto a Pittaluga e Conrieri, del primo viene evidenziata la «ricerca di una essenzialità espressiva che attinge al surreale e carica la parola di valenze evocative e rastremature simboliche.» Del secondo viene segnalata la cifra specifica della pluralità espressiva, che va dal dialetto ligure al riuso di parole colte.

       Prezioso dunque questo libro essenziale, criticamente attento alle tante possibilità espressive da parte di ispirazioni poetiche “oneste”, scevre da narcisistici virtuosismi, tutte intese alla resa comunicativa.

 

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«incroci» – semestrale di letteratura e altre scritture

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