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Il “terzo incomodo”/ su scuola democratica e corpo docente

Posted on: 20/09/2013

un intervento di Tommaso Montefusco*

Quando si parla di letteratura e cultura umanistica occorre prima di tutto avere attenzione per la formazione e per le problematiche che attraversano la scuola e l’Università. In quest’ottica accogliamo il contributo di un nostro lettore, Tommaso Montefusco, che, all’atto di andare in congedo dopo una lunga esperienza come preside nei Licei, ha scelto di affidare al blog di “incroci” alcune sue riflessioni, forse non del tutto “politically correct”, ma, ci auguriamo, stimolanti per il nostro dibattito

«L’Italia è l’unico paese dell’area dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria. All’opposto, nello stesso periodo i Paesi dell’Ocse hanno aumentato in media del 62 per cento la spesa per studente negli stessi livelli d’istruzione». Questo ha affermato l’OCSE in un documento pubblicato a Parigi il 25/06/2013! Non si dimentichi che i Governi Berlusconi-Monti, dal 2008 al 2012, hanno tagliato 8 miliardi e 120.000 posti nella scuola pubblica.

Quando il sistema dell’istruzione assume le dimensioni attuali (10 milioni di alunni, 10.000 scuole, 700.000 docenti) e deve essere anche necessariamente democratico, allora bisogna cambiare andazzo.

Che significa scuola democratica? Non di certo una ca’ zoiosa dove ciascuno si sente libero di comportarsi come crede, invocando magari la propria etica professionale, quando ovviamente c’è.

Ma significa una scuola efficiente: senza sprechi di risorse economiche (e questo è obiettivamente difficile) ma soprattutto senza sprechi di risorse umane (persone che non fanno quel che devono).

Significa una scuola efficace: dare agli alunni, sempre nel rispetto del dettato costituzionale dell’art. 34, una formazione all’altezza del tempo che si vive e della società nella quale si vivrà; una formazione che guarda alle opportunità future, non già elargitrice di titoli vuoti e inutili.

Significa dare stipendi, compensi e orari di servizio competitivi a livello europeo, capaci di attrarre all’insegnamento laureati che siano lontani dal considerare la scuola una sinecura, e che invece vengano assunti, come in Finlandia, tra i più bravi, e che siano magari in possesso di master e titoli postlaurea.

Ma, ma… C’è un “terzo incomodo”!

Occorre riconoscerlo: circa un terzo, forse anche più, dei docenti della scuola italiana rappresenta un serio problema per qualsivoglia politica tesa al rinnovamento, all’innovazione metodologico-didattica e tecnologica.

La scuola italiana oggi si regge, con affanno, su tutti gli altri docenti che, con dedizione, senso del dovere, attaccamento al lavoro, professionalità, spirito di sacrificio, tempo sottratto alla famiglia, ai figli, a sé stessi, con stipendi largamente inadeguati, tirano la carretta.

Quello dei docenti è il primo e più rilevante problema della scuola, in quanto nessun processo di riforma, nessuna innovazione metodologico-didattica può trasformarsi in cose, fatti, azioni concrete se tutto ciò non passa dalla testa dei docenti. Ma un terzo di loro, forse anche di più, guarda altrove.

Nessuno mai li ha formati per insegnare; gli altri almeno si sono fatti da sé, ma loro no, tetragoni dinanzi al nuovo; le conoscenze acquisite sono ferme agli anni universitari; mostrano fastidio e disinteresse per tutto ciò che risulta sperimentale, oppure diverso da quello che hanno visto e vissuto da alunni; vivono nella routine più solida e collaudata; irridono alla stragrande maggioranza dei colleghi che si impegnano di più, che lavorano anche per loro e dai quali scopiazzano programmazioni, tracce, griglie, ironizzando non di rado sui tentativi d’innovazione che questi compiono; si rifiutano di leggere circolari, documenti, ordinanze ministeriali, leggi, affidandosi alla (e confidando nella) tradizione orale; si trascinano nei corridoi con stanca andatura sin dalla prima ora; chiedono l’elargizione a pioggia delle poche risorse disponibili, ferocemente avversi ad ogni sorta di meritocrazia, severi e intolleranti con gli alunni quanto permissivisti con se stessi, pronti a utilizzare ogni artificio di legge per qualche giorno di assenza oltre il lecito. Per loro, la giornata libera deve essere abbinata inderogabilmente alla domenica per il probabile weekend, l’orario  di lezione deve essere confezionato su misura; ma guai a chiedere conto della quantità e della qualità del lavoro svolto in classe.

La vergogna del sistema scolastico italiano consiste nel fatto che costoro hanno la medesima retribuzione dei loro colleghi, i quali, pertanto, lavorano per sé e per il “terzo incomodo”, si prodigano di mattina e di pomeriggio per pochi spiccioli e con molta passione, curano laboratori, coordinano dipartimenti, preparano lezioni multimediali, si aggiornano, si sforzano di promuovere cultura, predispongono programmazioni, tracce, griglie sempre nuove e diverse di anno in anno, lavorando per sé e per il “terzo incomodo”. Ciò nonostante, sono irrisi e intralciati nel loro sforzo da questi loro colleghi, dai quali sono invitati a lasciar stare, a non mettersi in mostra e via menando.

E i presidi, l’USR, il MIUR, deputati a vigilare perché la scuola funzioni, in buona misura stanno a guardare.

Si dirà che i Dirigenti scolastici non hanno mezzi e poteri per intervenire. È solo parzialmente vero. Alcuni cercano solo il quieto vivere, si dedicano ad altri progetti, sono obbligatoriamente alle prese con carte e scartoffie, sono oberati da responsabilità e compiti (sicurezza, privacy, magri bilanci per molte e necessarie spese, appalti di pulizia, valutazione del loro operato, ecc.) a fronte dei quali sono in realtà “irresponsabili”, nel senso che non sono in grado di determinare i processi, ma anzi li subiscono. Tutto ciò li tiene lontani dalla “vigilanza” sulla didattica. Eppure verso il “terzo incomodo” potrebbero fare un po’ di più: a mo’ di esempio, non distribuire a pioggia le poche risorse e gratificare chi lavora; inviare i certificati medici all’ordine dei medici sommergendolo di questi attestati non si sa quanto veritieri; rifiutare ogni agevolazione, anche quando gli “incomodi” vanno a ricorrere ai sindacati, che – nel 99% dei casi – li proteggono; marcarli da vicino, assistendo alle lezioni e alle interrogazioni; assumere provvedimenti disciplinari per negligenza, nei casi di sistematica renitenza.

E invece si oscilla fra lassismo e autoritarismo, fra indulgenza e rampogne: facce di una medesima medaglia, che non hanno mai costruito nulla di positivo.

Anche e soprattutto i sindacati stanno a guardare. Essi, con la loro politica avversa alla meritocrazia, ma avversa anche all’art. 36 comma 1 della Costituzione – che così recita: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro» –,  di fatto coprono e agevolano questi docenti nella loro attività di forestieri delle aule scolastiche: attività che tanta parte ha nel giudizio non positivo (ad essere generosi) maturato dall’opinione pubblica nei confronti di tutti i docenti, senza distinguere tra chi lavora (e sono certamente i più) e chi vive la scuola come antidoto alla noia esistenziale. I sindacati hanno da sempre praticato una politica né meritocratica né equa oltre che, come visto, incostituzionale. Perché lo stipendio dei docenti non è differenziato per quantità e qualità del lavoro, come vuole la Costituzione?

I sindacati amano applicare la politica delle larghe intese (sono di moda, o no?) con MIUR, con USP e con USR, presso i quali amano ritagliarsi spazi di “potere” in diversi ambiti, spazi che sono loro concessi per una politica di appeasement, per un consociativismo di piccolo cabotaggio.

Bisognerebbe avere la forza d’indignarsi e farsi sentire nelle strade, perché il ruolo della scuola è troppo importante per continuare a tacere: la scuola gioca un ruolo centrale nella formazione dei giovani, nel fornire loro le competenze necessarie a trovare lavoro in un’economia globalizzata, nell’elevare il livello di cultura e di civiltà della nostra società, insomma nel garantire un futuro al nostro Paese.

Per concludere, poche perfettibili proposte suggerite dall’esperienza e dal buon senso per cominciare veramente a cambiare la scuola italiana:

  1. destinazione al sistema dell’istruzione pubblica di risorse e investimenti pari a quelli effettuati dagli altri Paesi UE;
  2. reclutamento dei docenti fondato su un effettivo, completo accertamento della professionalità, che consiste nel possesso non soltanto di specifiche competenze disciplinari, ma anche di sicure attitudini all’insegnamento, in quanto non è possibile lasciare una classe di bambini o di adolescenti nelle mani di persone che non sono all’altezza di “governarli”;
  3. formazione obbligatoria per i docenti in ingresso, con tirocinio-apprendistato reale e pagato (come ogni apprendistato) di almeno un anno, alla fine del quale può esserci l’assunzione sulla base del parere di una commissione di tre docenti presieduta dal Dirigente. C’è da fidarsi? Almeno quanto i concorsi o la farsa degli attuali Comitati di valutazione;
  4. aggiornamento disciplinare obbligatorio e ricorrente, adeguatamente retribuito;
  5. progressione di carriera fondata sulla valutazione della qualità e quantità del lavoro svolto, in ossequio al dettato del citato art. 36 della Costituzione italiana;
  6. revisione dei compiti, dei poteri e degli stipendi della dirigenza, nonché delle procedure della sua selezione. Un esempio emblematico, degno di “Report”, riguarda la composizione delle Commissioni di concorso per dirigenti scolastici (i vecchi presidi).

Qualche realista potrebbe ironicamente reintitolare questa nota Fuga dalla realtà!  Per quanto mi riguarda, resto convinto che un cambiamento sia possibile.

* Dirigente Scolastico nei licei in quiescenza

2 Risposte to "Il “terzo incomodo”/ su scuola democratica e corpo docente"

Fa bene, caro Dirigente, a puntare il dito sugli insegnanti! O meglio su una parte di essi. Al lassismo ed alla rigidità che contraddistinguono buona parte del corpo docente però io aggiungerei un altro male endemico purtroppo. Si tratta dell’autoreferenzialità. ben più diffusa e che sembra essere un male inguaribile dell’insegnante. Ne sono afflitti purtroppo tanti di quegli insegnanti che apparentemente si impegnano molto nel produrre “programmazioni, tracce, griglie”: carte e chiacchere molte volte. Bellissimi propositi che rimangono sulla carta o che servono solo ad autogratificarsi o fare bella figura davanti ai genitori ed alla Dirigenza!!
Le programmazioni, come i POF, sono diventati una sorta di opuscolo pubblicitario per attirare quanti più iscritti possibile…
Dopo dieci anni di insegnamento, in un settore di ‘trincea’ come il Sostegno, ho capito una semplice cosa che molti potrebbero opinare: nessuno può insegnarmi ad insegnare. Nessun corso, dispensa, master o libro.
Gli stessi dubbi li nutro per chi potrebbe aggiornarmi nell’insegnamento (vogliamo parlare, caro Dirigente, dei corsi FOR.Com.?).
L’insegnante si costruisce sul campo, giorno dopo giorno. Ma solo se è in grado di saper fare una (apparentemente) semplice cosa: saper ascoltare gli alunni. Saperli valorizzare, renderli partecipi, apprezzare tutto il loro sapere pregresso. Un valido insegnante, secondo me, è colui che sa assumere un ruolo quanto più possibile di ‘bussola’ per gli studenti, piuttosto che di autoritario direttore del traffico.
Saper ascoltare e valorizzare gli studenti equivale ad aggiornarsi tutti i giorni, in aula, sul campo. Concretamente, senza scartoffie e programmazioni di mezzo.
L’insegnante che sa ascoltare gli alunni è un insegnante che possiede una naturale\fondamentale inclinazione per questo mestiere. L’insegnante che sa ascoltare è umile e curioso. Si aggiorna tutti i giorni in aula e fuori dalla scuola, cercando di leggere ed interpretare il mondo che ci circonda:la TV, Internet, i mass media, la Musica, lo Sport, il linguaggio.
Se non possiede questa curiosità ed umiltà potrà seguire tutti i corsi di aggiornamento di questo mondo: nozioni vuote!
La metodologia didattica migliore? Quella più innovativa? Saper ascoltare e valorizzare gli alunni. A partire da un assunto: considerarli come ‘persone’, uniche ed irripetibili, e non come numeri buoni solo a riempire statistiche (OCSE, INVALSI etc.) o moduli di iscrizione…

Donato Sabina, docente.

Affermazioni sacrosante! E nelle scuole italiane all’estero (dove ho insegnato per molti anni) la situazione è ancora, se possibile, più preoccupante e scandalosa. Però in Svizzera ogni docente è sottoposto al giudizio semestrale di commissioni locali composte da alunni, genitori, e cittadini democraticamente eletti, e da loro viene valutato nel corso delle lezioni con visite non programmate. Succedesse in Italia…
Da leggere il recente libro di Eraldo Affinati “Elogio del ripetente”: insegnare è davvero il mestiere più bello del mondo, ma quanto faticoso e quanto poco apprezzato!

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