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ILARIA CROTTI, Lo scrittoio imaginifico. Volti e risvolti di d’Annunzio narratore

Posted on: 31/03/2018

ILARIA CROTTI, Lo scrittoio imaginifico. Volti e risvolti di d’Annunzio narratore

Avellino, Edizioni Sinestesie, 2016

 

 

 

 

di Paolo Leoncini

Il libro di Ilaria Crotti si pone tra i più significativi contributi dannunziani degli ultimi decenni. Raccoglie sei saggi, di cui cinque pubblicati tra il 1991 e il 2013, in riviste e in volume, ed uno inedito: Promenades visive e itinerari stilistici dei notturni veneziani («… i ben quattro attraversamenti di Venezia [nel Notturno], processioni luttuose che privano la forma promenade dei suoi tratti culturalmente ameni e socialmente dilettevoli per convertirla in una sorta di processione misterica, di sacra rappresentazione e di danza macabra», p. 141): il primo, Per una retorica dello sguardo, del 1991, e l’inedito, costituiscono uno dei nuclei della finissima perlustrazione della studiosa, su un ambito interagente e complesso, come quello dannunziano: il nucleo dello sguardo, della percezione visiva; l’altro nucleo è costituito dai sondaggi ipo-intertestuali sulla citazione e sull’autocitazione: entrambi i nuclei (il ‘visivo’ e la ‘citazione’) sono sottesi da riconoscimenti nettamenti sincronici: lo cogliamo già nella nota incipitaria, quando l’Autrice afferma che «Una delle problematiche più avvertite investe i nessi […] tra l’eclatante esordio narrativo del Piacere e lo sperimentalismo della prosa notturna, nell’ipotesi di lavoro che lo sguardo autoanalitico e atemporale dello scriba egizio [nell’incipit del Notturno] e la sua ‘arte nuova’ animino già le forme dell’attenzione spasmodica onnivora che persegue (e perseguita) la sagoma di Sperelli» (p.9).

Diciamo subito che la ‘prosa notturna’, se ci riferissimo a Esplorazione d’ombra di Emilio Cecchi, ‘fu conquistata di colpo dal D’Annunzio nell’attimo della sventura che lo seppellì’ a tanta profondità dentro se stesso: ne deriva la ‘visività ripiegata’, l’arte ‘più immediata e toccante, nel fermare immagini d’infinito dolore’ (cfr. Ritratti e profili, Garzanti, 1959,  pp. 251, 254, 263). Ma se Cecchi considera la ‘prosa notturna’ un rivolgimento radicale, una catarsi interiore, lo ‘sperimentalismo’ rilevato da Crotti nel Notturno si sintonizza col proprio sondaggio sincronico–intertestuale, che giunge a riconoscere in d’Annunzio istanze linguistiche ricorrenti, in un metamorfismo tendenzialmente autotrofico.

I fattori citazionali e autocitazionali  dilatano la perlustrazione da un lato al Notturno della Sirenetta: ovvero al «Notturno» di Renata Gravina, figlia del poeta, nata il 9 gennaio 1893 dalla relazione del poeta con Maria Cruyllas, principessa di Ramacca, moglie del capitano di artiglieria Ferdinando Anguissola di San Damiano: Renata, o Ciccuzza, o Sirenetta, andrà sposa il 12 agosto 1916 al tenente di vascello Silvio Montanarella; mancherà l’11 novembre 1976, lasciando otto figli e ventidue nipoti. Questo testo del «Notturno», dattiloscritto adesposto e anepigrafo, è stato ricuperato da Crotti nell’Archivio Generale del Vittoriale; e pubblicato nel 1997, nella Collana «Variatio» di Editoriale Programma, Padova: l’introduzione costituisce, con lievi varianti, il testo del saggio riprodotto nel presente libro, Una voce dal  Notturno: identità e alterità artistica della Sirenetta; dall’altro, i fattori citazionali e autocitazionali, ma, in questo caso, anche i fattori ‘visivi’, rinviano al precedente volume di Ilaria Crotti Mondo di carta. Immagini del libro nella letteratura italiana del Novecento (Venezia, Marsilio, 2008), da cui è tratto uno dei testi qui presenti, mutato di titolo, Immagini libridinose nel Piacere, dove lo Sperelli, ‘nato, in verità , calcografo, come Luca d’Olanda’ (scrive d’Annunzio), rinvia a  un ‘libro (di carta) che si traslittera in materie dure come il marmo e il rame […] perché quell’evento che è la scrittura possa rapprendersi, redimendosi dallo sfarinamento incombente’ (p. 70).

La ‘retorica dello sguardo’, la percezione visiva, che troviamo anche in Il ritratto come autoritratto: d’Annunzio interprete di Luisa Baccara, si correla con l’autotrofia citazionale di d’Annunzio, che troviamo evidenziato soprattutto in La biblioteca di sè. Appunti sull’autocitazione tra Leda e Notturno. Costituiscono, nel libro di Crotti, non irrilevanti interrogativi  teorici circa la consistenza del codice lingua (‘lo sguardo […] una delle leve più capaci di cogliere in contropiede il codice lingua», p. 123): la stratificazione citazionale-autocitazionale e la percezione visiva mettono in crisi la convenzione verbale del ‘codice lingua’, da un lato secondo una tendenza idiolettico-linguistica, dall’altro, secondo un nesso intrinseco tra la «macro-metafora dello sguardo» (p.105) e la percezione visiva, per cui la metafora è già interna alla percezione (si vedano a questo proposito i riferimenti a Ernst Gombrich e a Nelson Goodman, a p .184). Se «lo stigma di un esorbitante narcisismo formale» (p.83) connota la scrittura di d’Annunzio, secondo ‘la componente performativa che presiede al citare’ (p.84), secondo una ‘progettualità scrittoria […] da intendersi come una sorta di libro archetipico’(p.85), secondo un ‘lavorio dell’autocitazione’ (p.89), che può definirsi come ‘poetica citazionale’ (p.90), la ‘fisicità’ degli atti del ‘prendere’, ‘palpare’, ‘misurare’, si sostituiscono quale ‘funzione alternativa’ ‘tattile, sensitiva’, alla ‘capacità visiva’ (p.93): l’ambito citazionale e autocitazionale si configura come uno spostamento all’interno di una fenomenologia percettivo-sensoriale plurima, che si estende al ‘sonoro’ (‘E’ la musica a fungere da splendido termine di paragone di un tragitto che vede riposizionarsi sequenze testuali molto simili’) (p.85): a parte la diversità tra la catarsi sensoria del Notturno, per Cecchi, e lo ‘sperimentalismo’ rilevato invece da Crotti, anche Cecchi rileva, sul versante plastico, l’iterazione come tratto connotante: ‘Dall’iterazione dell’identico motivo plastico, proviene che esso si scorpora e perde ogni superflua particolarità oggettiva, diventando una ignuda materia di stile e ritmo’ (Ritratti e profili, cit., p.266). La ‘permeabilità delle arti’ (‘L’incisione, allora, non si limita a legittimare una sua possibile ‘lettura musicale’, se ne avalla anche altre, che investono la pittura, l’architettura, la poesia e la danza’, pp.192-193) è colta nella ‘silhouette della pianista» (Luisa Baccara) tracciata dal De Carolis: ‘… l’immagine fissata nel disegno è assunta come uno spunto risolutivo, poi riletto e rifratto nel crogiolo della scrittura dannunziana» (p.187); oppure, quando ‘oggetti, colori, suoni e forme dialogano, si fondono e divergono senza posa’ (p.196). La permeazione tattile-visivo-sonora (‘l’immagine delle mani’ di Luisa Baccara’, ‘icona talmente pervasiva’, p. 204) che per d’Annunzio si fonde nell’‘arte del verbo’ (ivi), viene sondata in questa innovativa ricerca di Ilaria Crotti  attraverso magistrali ricognizioni che  indagano, in un autore paradigmatico come il pescarese, tra i moventi percettivo-sensibili dell’immagine e la sua resa verbale-scrittoria, secondo ipotesi iconiche che richiamano il Ricoeur di La metafora viva, quando afferma che ‘nel linguaggio poetico […] il linguaggio, in luogo di essere attraversato nella direzione della realtà, è esso stesso ‘materiale’ […] quel che il marmo è per lo scultore’: il movimento che rende parola la fenomenologia idiolettico-percettivo-sensibile di d’Annunzio, si estenderebbe,dall’indagine dannunziana di Ilaria Crotti, a nuovi territori di ricerca.

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