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Raffaele Niro, Viandanze

Posted on: 10/07/2023

viandanze_poema_umano_Raffaele Niro, Viandanze (poema umano)

Raffaelli, Rimini 2022

di Carmine Tedeschi

       Leggo Viandanze e mi viene subito in mente Erranze (Ed. Francoangeli, 2018), un bel saggio sulla preadolescenza di Alessandra Augelli, ricercatrice nell’Istituto di Pedagogia presso l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano. La facile associazione fra i due termini deriva dalla evidente parentela semantica, oltre che fonetica, soprattutto per il comune rinvio all’idea di viaggio, quindi di ricerca, di esplorazione, di inchiesta.

       Pensandoci un po’ su, si scopre però anche una significativa differenza: “erranza”, anche per la comune radice con “errore”, indica un andare a caso, cercando non si sa bene cosa né dove, esponendosi al rischio di sbagliare; condizione esistenziale tipica della preadolescenza. Laddove “viandanza” indica piuttosto un andare seguendo una via già nota, già attraversata di persona o da altri, di cui si intende però verificare fino in fondo l’effettiva percorribilità e l’approdo.  Quindi la “viandanza” può essere solo dell’età adulta.

       È appunto quest’ultimo il caso di Raffaele Niro, che intraprende qui il suo viaggio interiore. Non certamente il primo, date le sue precedenti prove poetiche; ma neanche l’ultimo, considerando il plurale del titolo che già prevede più di una via. E non si tratta certo di strade senza uscita.

       Il viaggio poetico di Niro si articola in tre fasi o momenti, preceduti da un preambolo poetico e seguiti da una postilla anch’essa in versi. Un ordine grafico che presuppone l’idea di un viaggio progettato ed eseguito con cura, ma soprattutto con l’urgenza di un intimo bisogno di chiarezza, seguendo una strada che non muoia sempre e solo nel territorio privato dell’Io, ma che sia strada di cammino comune, che porti a uno spazio di vita coinvolgente l’Altro: «poi /mi sono convinta /che i muri/ si abbattono/ insieme// insieme!?// a chi?» Anche quell’ “a chi!?” col punto di esclamazione ed insieme di domanda pone un irrinunciabile oggetto d’inchiesta. Il sottotitolo, infatti, è lì a rammentarlo: (poema umano), cioè dell’Uomo, della sua umana essenza.

       Ma perché mai una voce poetante femminile? Nella Prefazione Roberto Deidier spiega la scelta  in apparenza stravagante: «è proprio la voce, incarnata nella lingua, [ad accompagnarci fino alla fine ] … come se le parole fossero brandelli di senso da ricostruire, in una sorta di oracolo ormai incomprensibile. E la voce degli oracoli è sempre femminile».

       Lo sforzo di cercare si estende dunque a tutto il poemetto. Nella prima parte prevale la ricerca di una lingua – meglio di un linguaggio – di comunicazione possibile e ne viene registrata la ripetuta frustrazione; solo verso la fine si accenna ad una rinnovata coscienza dell’Io quale punto di ripartenza. Nella seconda parte questa presa più salda sul Sé partendo dal proprio corpo diventa una coscienza del limite e delle relative possibilità di mettersi in cammino. Il terzo momento è quello del viaggio nel suo compiersi e del viaggio compiuto. Il punto di arrivo è l’identificazione dell’Io con l’universalità dell’essenza umana, che il poeta chiama “popolo”, parola scivolosa quanto mai. Ed ecco la conclusione nella Postilla: «viaggiando ho compreso/che non sono solo il mio paese, ma sono il mio popolo.// io, del mio Popolo,/ sono il poema umano».

           

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