incroci on line

Vittorino Curci, “Cadenze per la fine del tempo”

Posted on: 23/07/2023

cadenze-per-la-fine-del-tempo-vittorino-curci-musicaos-1Vittorino Curci, Cadenze per la fine del tempo

Musicaos, Neviano (Le) 2023

di Filippo Casanova

 

«Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio»: così termina il capolavoro di Calvino, Le città invisibili, e così, potremmo dire, inizia l’ultima fatica letteraria di Vittorino Curci, Cadenze per la fine del tempo. Non letteralmente, certo, ma c’è qui un sentimento di ricerca lucida e disperata che soggiace, come un fiume sotterraneo, all’intero corpus poetico dell’autore di Noci che è, in buona sostanza, un humus sul quale si innestano suggestioni e conquiste, viaggi e partenze, ritorni e smarrimenti.

Partiamo dal titolo, forse mai così eloquente. Qual è il tempo finito? Non quello della Storia, giacché Curci è perfettamente consapevole che la Storia – quella degli uomini, delle nazioni, degli avvicendamenti socio-culturali – non finirà mai se non, potremmo azzardare, con l’ultimo uomo; non quello delle percezioni e delle sensazioni che muovono l’essere umano a ricercare richiami, congiunzioni, corrispondenze tra un sé che si muove nel mondo e un mondo che si muove, di riflesso, in miliardi di sé: suggestioni pascaline, certo, ma immerse e dirottate, da Curci, sulla sua storia, sulla sua terra, quel Sud che arde al sole dell’anticiclone e che tende a disperdere il proprio seme come il falco grillaio che emigra e ritorna. Allora, qual è questo tempo finito e perduto? È certamente quello della comunicazione – il tempo, cioè, che occorre al poeta per comunicare – in primis a sé stesso e poi agli altri – i vari tempi che scandiscono la nostra vita, le solitudini e le albe, le notti che si dileguano nell’arco di un’esistenza intera e lasciano un’oscura meraviglia negli occhi di chi le ha scrutate fino in fondo.

È un’opera, questa, ardua per chi, come il poeta, sa certe voragini e quasi vorrebbe proteggere il mondo da simili abissi: è l’adagio nietzschiano e, insieme, la bontà apostolica, ciò che viene fuori dalle pagine di Curci e dai suoi versi: «di me mi duole il dolore che non provo / per tutto quello che non sono stato». Al lettore che si avvicina in punta di piedi e senza alcun preconcetto, l’intera raccolta apparirà come una cascata, non per la sua velocità o rapidità – anzi, come già il titolo suggerisce, l’intero libro è cadenzato e cadenza esso stesso altre cadenze –, quanto per la fluidità dei testi che si susseguono senza punti, con uno stravolgimento delle regole classiche di sintassi e punteggiatura a tratti ardito, dirompente, capace di innalzare il tono espressivo a un livello rare volte raggiunto nella poesia pugliese. Sperimentale, coinvolgente a momenti, straniante, aggettivi che, nella poesia di Curci, convivono e si alimentano vicendevolmente, come «frutti maturi» che temono il momento del distacco dal ramo: la fine del tempo, del loro tempo, appunto.

A questo, si aggiunge una progressione tangibile della potenza creatrice della parola e del suo essere oggetto tra gli oggetti, certo, ma capace di trasfigurare sé stessa e riconsegnare quelle coordinate etico-esistenziali entro cui la percezione curciana si muove e analizza, indaga, scopre, rinnega: «cominciamo da qui dunque, dal nostro ipnotico giostrare tra pozzanghere ghiacciate, dai pranzi festivi che cedono il passo a quella prescienza del cartaceo che esorta le parole a fare la spola tra un mondo e l’altro». Questo è il percorso immaginato da Curci, questo il valore della parola e, di riflesso, del poeta che, con la parola, squarcia la realtà e la restituisce depurata dall’ipocrisia e dalla vanità.

Leggendo le Cadenze, non si può non pensare a uno dei Cantos poundiani, il numero LXXXI, nel quale ci viene ricordato quale sarà, alla fine di tutto (e il nostro tutto coincide col nostro tempo), la nostra vera eredità: Pound era poeta tra i poeti e al servizio della poesia, era poeta tra la gente. Ebbene, anche l’io lirico delle Cadenze è poeta tra i poeti, poeta tra la gente («se mi fosse impedito di essere gli altri / i miei doni perderebbero valore») e, proprio come Pound, anche Curci ci ricorda quale sarà la nostra vera eredità: «l’esilio della lingua», il silenzio tra i canneti e la necessità di cercare ancora, di dar voce ancora all’assenza di voce, consapevoli che solo il tempo potrà darci ragione, alla fine di ogni cosa, della ricerca intrapresa, del viaggio compiuto, dello spazio dato a ciò che inferno non era.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

«incroci» – semestrale di letteratura e altre scritture

direzione: Lino Angiuli •  Daniele Maria Pegorari • Raffaele Nigro

disclaimer

Il blog ‘incroci on line’ non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità: per questo non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.
La responsabilità degli articoli è dei rispettivi autori, che ne rispondono interamente.

Alcune immagini pubblicate nel blog sono tratte dal Web: qualora qualcuna di esse fosse protetta da diritto d’autore, vi preghiamo di comunicarcelo tramite l’indirizzo incrocirivistaletteraria@gmail.com, provvederemo alla loro rimozione.

Al lettore che voglia inserire un commento ad un post è richiesto di identificarsi mediante nome e cognome; non sono ammessi nickname, iniziali, false generalità.
Commenti offensivi, lesivi della persona o facenti uso di argomenti ad hominem non verranno pubblicati.
In ogni caso ‘incroci on line’ non è responsabile per quanto scritto dai lettori nei commenti ai post.

Archivi