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Leogrande, Grillo, e le eiaculazioni precoci

Posted on: 10/03/2013

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di Daniele Maria Pegorari 

Seguendo un consiglio di lettura di una mia studentessa, mi sono imbattuto in un dotto e interessantissimo articolo riproposto dal sito minima & moralia, facente capo alla casa editrice romana minimum fax. La pagina è firmata dall’ottimo scrittore Alessandro Leogrande e riguarda l’improvvida uscita di Beppe Grillo che recentemente ha preteso di nobilitare il proprio sfascismo antipartitico rinviando a un vecchio saggio di Simone Weil. Il contributo di Leogrande – vi consiglio di leggerlo – dimostra acutamente quanto sia travisante l’accostamento azzardato da Grillo, che evidentemente è abituato allo sciocchezzaio di Casaleggio e a un Latouche riassunto nei bignami, ma ha una certa difficoltà a sollevarsi alle altezze del pensiero politico e critico novecentesco.

Quello che mi ha stupito (e ferito e sconvolto e disorientato e disgustato), però, è stato il tenore dei commenti seguenti, che mi confermano, per la centesima volta, a quale barbarie culturale conduca la libertà di commento nei blog: e Dio non voglia che anche questo di «incroci» ne venisse infettato (se così fosse, da codirettore della testata porrei la questione della sua chiusura). Ben presto, infatti, a Leogrande ha risposto un frequentatore abituale di quel sito culturale (che dovrebbe dunque essere un lettore selezionato e motivato) il quale si è accontentato di marcare il territorio giornaliero (proprio come fanno i cani…), componendo il seguente sublime post: «Pippa megagalattica»…

Vedete, io sono abituato dalla mia rigorosa formazione al costume per il quale, se non sento di avere la forza (o il tempo o la voglia) per argomentare in maniera adeguata ragioni contrarie a quelle che ho ascoltato o letto, devo tacere. Il caso più significativo di questa regola aurea nella mia vita riguarda il momento in cui cominciai ad avere il sospetto che le correnti interpretazioni del canto XVI dell’Inferno di Dante fossero sbagliate. Avevo solo 26 anni e ne parlai col mio professore, il quale sgranò gli occhi, disse che c’era qualcosa d’interessante in quello che gli stavo farfugliando, ma concluse che avrei dovuto studiare tutte le interpretazioni conosciute e confutarle a una a una prima di potermi permettere di pubblicare una tesi innovativa. L’ho fatto, ci ho impiegato esattamente dieci anni, ma l’ho fatto, e ora esiste una nuova teoria interpretativa che porta il mio nome (si può verificare consultando la recente edizione einaudiana dell’Inferno, curata da Saverio Bellomo): magari non sarà universalmente accettata, ma da qualche anno è a disposizione della comunità scientifica internazionale e lo sarà ‘per sempre’.

Invece la rete, anche nei suoi siti culturali, vede prevalere stupide scorciatoie comunicative. Ci si sente intelligenti e à la page se si risponde a un lungo articolo di Alessandro Leogrande, con un’espressione che tradisce per ambito semantico la natura propria della finta dialettica on line: alla «Pippa megagalattica» attribuita al povero Leogrande corrisponde l’eiaculazione precoce di un lettore che non ha saputo trattenere la propria voglia di ‘venire’ al dibattito.

Era accaduto anche a me, quasi tre anni fa: il sito ufficiale di SEL mi aveva messo a disposizione l’home page per rivolgere una riflessione politica in forma di lettera a Vendola. Bene, il commento più diffuso fra i fans di Vendola (sì, fans erano, non veri militanti) fu: «com’è noioso Pegorari». Da quel giorno non ho più scritto per un blog (se non un paio di volte per questo blog di ‘casa mia’) e non me ne pento. Oggi, dopo tre anni, vorrei incontrare a uno a uno quei cretini che mi diedero del «noioso» e portarli a capire che le questioni che io ponevo allora sono esattamente la causa della sconfitta elettorale di oggi.

Ma forse neanche ora interesserebbe la questione ai quei miei vecchi interlocutori: probabilmente, infatti, sono diventati fans di Grillo… D’altra parte con lui non v’è certamente il rischio di annoiarsi.

13 Risposte to "Leogrande, Grillo, e le eiaculazioni precoci"

Come non essere d’accordo con il professor Pegorari: la voglia quasi erotica di partecipare ad un dibattito è diffusa, anche troppo. Tempo fa da studente di Scienze Politiche, militante politico, sempre-affamato lettore mi chiedevo come fosse possibile “parlare” di politica senza averne le basi intellettuali (conoscenza istituzionali, differenze ideologiche e soprattutto la conoscenza della Storia)? Ebbene oggi, e questo post del professor Pegorari ne è la migliore sintesi, preferisco tacere evitando di imbarcarmi in dialoghi nonsense con interlocutori impreparati, così come io mai pontificherei su questioni di edilizia o chimica o informatica, eccetera. Non perché un’argomento e branca della conoscenza sia piu’ importante dell’altra (il poeta senza il carpentiere avrebbe una casa senza struttura o al massimo l’assenza del ‘mastro’ costringerebbe il poeta a impiegare il suo tempo a costruire pilastri e tramezzi anziché terzine, sulla cui necessità non v’è dubbio alcuno). Mi pare che il problema sia vecchio non quanto il mondo, ma piu’ o meno di venti-trent’anni: la demolizione del pensiero umanistico a favore di quello tecnico e la crescente «semplificazione» (cit. Pegorari) operata dal web ha comportato la decrescita infelice del confronto dialettico weberiano (so di camminare in territorio minato, ma non posso esimermi dal rischio): la mia tesi, la tua confutazione, la nostra sintesi.
Oggi la situazione mi pare si possa sintetizzare così: la tua tesi (ragionata e «noiosa»); il mio sberleffo; il dileggio di massa.
La soluzione? Mi accodo ai «non saprei», ma un’idea malsana ce l’avrei: ritornare a trattare l’interlocutore di turno per quello che vale, anche sembrando presuntuosi (‘sai tutto tu’), perché se la legge dei vasi comunicanti l’applichiamo all’azione del dialogo, ebbene se io do a te un pensiero ragionato e tu dai a me una «pippa megagalattica», tra i due tu hai guadagnato e non lo sai, ma io mi sono avvilito e deciderò di non darti piu’ nulla.
E se i suoi pensieri sono «noiosi» professore lo lasci dire a coloro che hanno voglia di confutarli o di trovarvisi d’accordo (motivando è chiaro).
Il popolo in altri tempi avrebbe detto: ‘non c’è peggior sordo di chi non vuol ascoltare’.

Vito Stano

Grazie mille anche a Vito Stano per questo commento. Sono lieto che il mio sasso sia servito almeno a creare qualche cerchio di risonanza più larga. Se questo blog può servire almeno a creare nuovi “incroci” di dialogo rispettoso, sapremo di aver fatto qualcosa di piccolo, forse, ma certamente positivo e costruttivo.

Caro Daniele,

ho letto di Grillo e delle eiaculazioni precoci. Che posso dirti? provo certamente un senso di ammirazione per la tua forza e coraggio nell’avventurarti in terreni tanto scivolosi e infidi. E ti assicuro che pur avendo avuto un occhio benevolo per l’avventura di Grillo, che veniva comunque a smuovere una casta incancrenita incartapecorita e cieca, me lo son dovuto subito stropicciare quell’occhio e chiedermi se stessi sognando o meno. A dir poco Grillo e il suo compare Casaleggio, sono dei visionari che certamente non portano da nessuna parte se non ad allargare il baratro verso cui tutti noi testardamente e velocemente stiamo sprofondando. Mentre con una certa accortezza, quei due signori, potrebbero condizionare tutti possibili governi. Come, loro malgrado, è stato per l’elezione dei presidenti delle due Camere. Una piccola luce accesa in tante nebbie. E invece…

In queste Domeniche stanno trasmettendo su la 7 lo sceneggiato americano I Borgia. Ho avuto la fortuna di vedere la puntata di ieri sera, ebbene vi si coglie ciò che Machiavelli aveva lucidamente visto, come i guai dell’Italia risalgono alle gelosie dei piccoli staterelli (compreso quello della Chiesa) e credo ahimè che la stessa sorte stia capitando all’Europa, oggi. Non avendo la capacità né la forza di superare i localismi, l’Europa è destinata a un ruolo secondario, proprio come è successo all’Italia del ‘500.
E in tanto casino quale può essere il ruolo dell’intellettuale anche richiamato in una sua risposta dall’amico Lucini? Nessuno, credo. Perché la cosiddetta rete esalta la mediocrità ed umilia l’eccellenza. Sembra che esista una sola opinione pubblica che è quella della massa e quindi sempre pericolosa, perché facilmente manovrabile da chi dispone risorse economiche e mediatiche. Come si spiegherebbe diversamente la ‘resurrezione’ di Berlusconi pur essendo il primo responsabile del declino italiano?

Allora, caro Daniele, cosa ci resta da fare? Proprio non saprei. Un segno dei tempi è certamente dato da tanta cosiddetta arte contemporanea e dalla particolarissima, per noi, circostanza che la poesia è certamente scomparsa dall’orizzonte dell’uomo di oggi.

Se hai tempo e modo di rispondermi, dimmi piuttosto di tua madre.
Un caro saluto,
Matteo

Sostanzialmente sono d’accordo con il commento di Stefano Guglielmin: “se ci sono commenti offensivi, questi vanno censurati. Altrimenti sarà il lettore a farsi un’idea della caratura culturale del commentatore.”

Ma non le nascondo che anch’io ho l’impressione che nella rete, alle volte, chiunque si senta quasi in dovere di affrontare certi argomenti (di carattere politico, sociale o culturale), anche quando, solitamente, non li affronta in famiglia o con gli amici. Solo perché, come dire, chi gli sta intorno ne parla. Naturalmente non sempre è così.

Se posso permettermi di fare una metafora, trovo che la rete assomigli molto a un immenso bar. Infatti, a chi non è mai capitato, di entrare in un qualsiasi bar e sentire il classico gruppo di vecchietti inveire contro tutti e tutto? Per certi versi, una scena di questo tipo, può risultare anche divertente (“sarà il lettore a farsi un’idea della caratura culturale del commentatore”). Li si guarda affannarsi, maledire il demonio o chi per lui, mettere nel pentolone argomenti fuori luogo, poi si paga il conto e fuori c’è ancora il sole, è ancora una bella giornata.

Per questo credo che il principio di base da seguire -nel bar come nella rete- debba essere ancora guidato esclusivamente dal buongusto e dalla buona educazione di non offendersi a vicenda, altrimenti “fuori dal bar!” (“se ci sono commenti offensivi, questi vanno censurati”).

il tuo post mi ha fatto pensare ad un’ “amaca” di michele serra di qualche giorno fa, dove si evidenziava come i blog e la rete in generale si prestino a messaggi sbrigativi e a volte anche “infami” di cialtroni e attivisti dell’ultim’ora. Twitter, i blog, etc., sono un mezzo di “democrazia” e di informazione fantastico, ma ho paura che rischiamo di far diventare banale ciò che è semplice, superificiale ciò che è veloce e di rendere, come sempre, tutto quanto un grande talk show

Cari Amici, ringrazio i molti (certo più di quanti sperassi) che hanno letto il mio intervento, quelli che mi hanno risposto privatamente e gli altri che hanno gentilmente voluto condividere in questo blog le proprie opinioni. Mi sembra di cogliere fra le righe di alcuni interventi quello che diviene sempre più un topos in questo genere di discorsi: la preoccupazione che non si butti il bambino con l’acqua sporca. Pertanto chi, come me, solleva una critica sui linguaggi (non certo sulle opinioni, che devono rimanere libere) è costretto (come se ne avesse bisogno) a sentirsi ricordare che “questo è il bello della democrazia”, che “il mondo è bello perché è vario” e via collezionando luoghi comuni. No, “il bello della democrazia” è la possibilità della divergenza delle idee e la libertà di esprimerle. La semplificazione delle idee, invece, non è “il bello”, ma il il cancro della democrazia.
Posso spiegarlo proprio con un esempio offerto da Stefano: democratico (e sacrosanto) è concedere il voto agli immigrati, ancorché di preponderante fede islamica, senza temere che questo possa portare a un voto contrario al nostro. Ma se (come è previsto nell’esempio di Stefano) l’immigrato islamico votasse a destra solo perché così ritiene di tutelarsi da una sinistra che difende i diritti delle donne e dei gay, questa sua posizione sarebbe democraticamente paradossale, poiché figurerebbe una destra maschilista (che, vi prego, non esiste in realtà) e contemporaneamente darebbe la propria delega a un’area politica che esprime le posizioni più gelosamente cattoliche (per intenderci: quelle che hanno bloccato la costituzione europea, perché non garantiva le “radici giudaico-cristiane”).
Ciò dimostra che la democrazia va in tilt se a prevalere sono schematizzazioni e banalizzazioni. Se l’islamico (ipotetico) pensasse di più non voterebbe la destra cattolica (reale) e aiuterebbe a far crescere la democrazia; allo stesso modo, chi vuole intervenire in un dibattito, se si attrezzasse in maniera adeguata e non sbrigativa, non scriverebbe “pippa megalattica” e farebbe crescere la conoscenza.

Queste ultime settimane, effettivamente, sono state spesso teatro di episodi simili. Anzi, a dirla tutta, pare quasi la norma l’attacco sgarbato e conciso nel momento stesso in cui vengono meno gli argomenti sufficienti a rendere chiara la propria opinione. Ma mi trovo nella condizione di spezzare una lancia a favore della comunicazione online, per il semplice fatto che capita di essere messi a tacere allo stesso modo anche in una conversazione a viso aperto. Credo che la rete possa essere considerata comunque una risorsa utile, soprattutto quando l’informazione non viene sempre veicolata in maniera limpida e chiara dagli altri media a nostra disposizione. A noi il compito e il dovere di farne un uso appropriato e agli altri, quelli che sono soliti attaccare intendo, imparare a leggere anche i commenti di chi la pensa in maniera diversa, magari per far critica costruttiva per una volta.

Qualche settimana fa, prima delle elezioni, ho avuto una discussione animata con mio fratello, secondo il quale andrebbe inibito il diritto di voto agli ultrasettantenni (perché ormai incapaci di comprendere quale sia il meglio per il futuro del paese) oppure andrebbe fatto un test prima delle operazioni di voto in modo che il voto dei laureati e di chi segue costantemente il dibattito politico abbia un peso maggiore rispetto a chi se ne disinteressa per anni. Solo così, aggiungeva, avremmo superato il problema del numero degli elettori di Berlusconi (perlopiù anziani e poco scolarizzati). Io ho cercato di fargli capire che la democrazia non può accettare queste forme di censura, e che tutti devono comunque avere diritto di voto: possiamo legittimamente disperarci alla lettura dei risultati elettorali, ma non possiamo pensare di venir meno al principio del suffragio universale. Una discussione simile l’ho avuta con altre persone sul voto agli stranieri che vivono in Italia. Molti amici di sinistra sono scettici perché temono che migranti di religione islamica o provenienti da paesi con culture molto diverse possano votare in massa a destra perché la sinistra ha nel suo programma la tutela dei diritti delle donne e dei gay, che molti di loro possono non accettare. Io invece sono convinto che gli stranieri che vivono in Italia da qualche anno debbano votare sempre e comunque: la sfida è nel far comprendere che una società inclusiva tutela i diritti di tutti, e non si vince semplicemente depennandoli dal corpo elettorale.

Questa premessa serve per dire che i commenti sui blog non funzionano a mio avviso in modo troppo dissimile. Per le stesse ragioni di cui sopra, io sono contrario a inibire l’accesso ai commenti, tranne laddove non ci siano insulti e offese espliciti. Ci può far inorridire un commento come “Pippa megagalattica” allo stesso modo di una abnorme percentuale di voti a un partito populista: ma non per questo in un seggio elettorale siamo legittimati ad annullare le schede in cui è stato votato quel partito. Così come in politica possiamo decidere di astenerci dalle elezioni o di lottare invece affinché prevalgano forze politiche più vicine alla nostra visione del mondo, sui blog possiamo decidere di ignorare quei commenti che riteniamo inutili, provocatori, sbagliati nella forma e nella sostanza. Personalmente, se sotto un articolo di un blog, su sei commenti, ne leggo cinque vagamente interessanti e uno come “Pippa megagalattica”, posso ritenermi comunque soddisfatto per quei cinque commenti che mi aiutano a riflettere; il sesto semplicemente lo ignoro. E se la discussione finisce per essere monopolizzata da quel commento inutile, provocatorio, sbagliato, smetto di seguirla (escludo l’ipotesi di rispondergli, esiste un’ampia letteratura ormai sul fenomeno dei “troll” su Internet) . Posso essere giustamente rammaricato dal fatto che un articolo così interessante come quello di Leogrande possa non essere discusso in maniera approfondita senza provocazioni di sorta, ma anche questo è il “costo” (ma il termine non è appropriato) della democrazia, proprio come il diritto di voto per gli elettori di partiti populisti.

Questo intervento, a mio parere, solleva un problema più che attuale: nella società contemporanea conviviamo con la necessità di “spararla grossa”. Non importa la possibilità di motivare o argomentare ciò che diciamo, poiché l’unica cosa che conta è garantirsi i propri cinque minuti di celebrità quotidiana per non aver detto, in fin dei conti, nulla.
Una tendenza, a mio avviso, lanciata proprio dal mondo della politica che, trovatosi vuoto di contenuti (per le pochezza intellettuale della maggior parte dei suoi protagonisti) ha dovuto riparare ricorrendo all’uso di slogan dal forte potere mediatico. E se l’esempio viene dall’alto… Beh, c’è anche da dire che dal basso vi è stata una lieta risposta a chi proponeva un modello semplicistico, all’interno del quale non è necessaria la fatica di approfondire un argomento.
E la rete, strumento eccezionale del progresso contemporaneo, si è fatta involontariamente coartefice di questa disfatta intellettuale. E lo ammetto in quanto membro di una generazione che della rete non saprebbe fare a meno.

Sicuramente promuoverò questo suo intervento… Se è ancora presto, forse, per cominciare seriamente a cambiare atteggiamento rispetto al problema, è bene che quanto meno si percepisca la “condanna sociale” nei suoi confronti.

Sono d’accordo solo in parte con il professor Pegorari, perché in rete come nella realtà convivono le perone che amano la polemica insieme a quelle propense al dialogo, al confronto aperto; oltretutto qui, per chi lo voglia, si ha il tempo di riflettere e di argomentare.

Caro Daniele, quello che qui tu additi come (indiscutibile a mio avviso) “male” del web, è l’insana abitudine a irridere l’argomentazione e a chiudere sempre tutto a tarallucci e vino (ma non le scemenze, quelle no…), con una solenne squalifica di chi si sforza di pensare, forse perché rispondere significa spremere le meningi, e si fa fatica…
Non ho letto l’articolo che consigli, ma lo farò se riesco a ritagliare il tempo dalle mie esigenze di produrre per sopravvivere. Il punto che tu tocchi però è chiaro in sé.
Io, lo confesso, ero (e forse ancora lo sono) un ammiratore della comicità caustica di Grillo che, per molti argomenti (ma non per tutti: su alcune questioni da lui sollevate sono molto in disaccordo) ha sollevato delle obiezioni, ha messo in luce delle aporie, ha posto problemi importantissimi che io stesso cerco di porre nel mio modesto lavoro culturale, seppur con altri strumenti e certo senza una cassa di risonanza come quella grillina. E come me, credo, molti artisti, intellettuali, poeti. Il fatto è che questa strana gente, come noi, in Italia conta come il due di picche quando briscola è cuori, per il fatto che siamo un popolo che vive di spettacolo fin dai tempi dell’antica Roma e confonde lo spettacolo, pure intelligente come quelli di Grillo, con la cultura, la critica, la ricerca, l’argomentazione, che sono ben altra cosa. Il primo è passivo da parte dello spettatore e intrusivo da parte del comico, il secondo invece pretende che lo spettatore si faccia parte attiva e allora… “questo Pegorari, che noia.!”). Appunto: privi di argomenti si riattacca il telefono e si interrompe la comunicazione.
Il risultato è che, al momento di combinare qualcosa, il rivoluzionario-spettatore chiede un capo al quale affidare la sua forza, nel bene e nel male, uno che pensi per lui, perché pensare è difficile e costa. Non gli passa neppure nell’anticamera della coscienza che la rivoluzione inizia sempre da sé, PENSANDO E CRITICANDO). Il livello del lògos grillino lo abbiamo ampiamente trovato nel suo blog e nelle poche esilaranti dichiarazioni dei neo-deputati grillini.
In ogni caso, credo che anche noi, poeti, untellettuali, artisti, un qualche torto lo abbiamo se la situazione sta precipitando in modo disastroso, come pare. La responsabilità di aver rincorso il consenso ad esempio, dimenticando che il ruolo dell’intellettuale è quello della ricerca della verità e non della difesa di questa o quella parte politica, filosofica, ideologica, religiosa, ecc. Altra responsabilità è quella di non esserci accorti che il modo di comunicare è enormemente cambiato, in pochi decenni, e continuiamo a usare i soliti stilemi, i soliti logori canali di comunicazione che nessuno più segue. Altra responsabilità, dell’arte e della poesia in particolare, è quella di non avere ragionato sul concetto di “ruolo” che essa dovrebbe svolgere nel contesto sociale, riducendosi all’auto-referenzialità più maniacale e a volte manichea. Siamo una classe sociale senza ruolo, che viviamo di noi stessi, in un mondo a parte.
Io non so come ne verremo fuori da questo casino, ma l’intuito mi dice che il sistema politico-sociale attuale ha clamorosamente fallito per troppo poca cultura e che se non cambiamo il sistema non usciremo più da questo vicolo cieco, che vede una massa di poveri ingrandirsi sempre più e sempre più impoverirsi, e un’esigua massa di ricchi che controlla sempre più risorse. La cultura deve riprendere il, suo ruolo, alla svelta, al servizio della collettività. La politica conta ormai pochissimo, non è la principale causa di tutto ciò ma lo è l’economia, la finanza, quelle cose di cui nessuno capisce niente che governano il mondo. Nessuno di noi intellettuali e artisti se ne occupa, e vincono i nuovi sofisti, i pasticcioni, i pressapochisti, gli apprendisti stregoni, i presuntuosi.
E fammi avere il tuo indirizzo, che devo spedirti “Il ricatto del pane”. Ciao
Gianmario Lucini

da gestore di un blog da più di sette anni, ho imparato che, per farlo funzionare, occorre molta pazienza e arte della mediazione. Se ci sono commenti offensivi, questi vanno censurati. Altrimenti sarà il lettore a farsi un’idea della caratura culturale del commentatore.

Possibilità del blog: meglio sempre mettere i link di riferimento, così è possibile subito rintracciare l’articolo di riferimento (per esempio quello di Leogrande).

Auguri per l’avventura! (la segnalo su fb)

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