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Luigi Ianzano, Spija nGele

Posted on: 01/10/2017

Luigi Ianzano, Spija nGele

Caputo Grafiche, Borgo Celano (Fg), 2016, 62 pp.

 

 

 

 

 

di Marta Lentini

Spija nGele (Scruta il cielo) è una raccolta di poesie scritte da Luigi Ianzano, docente di scienze giuridico-economiche di San Marco in Lamis (Fg), che usa l’idioma sammarchese come lingua poetica, utilizzando il metodo della grafia DAM, comunemente accettato per la trascrizione dei dialetti alto-meridionali, e corredando tutte le poesie di traduzione italiana a piè di pagina.

La novità e il fascino della scrittura di Ianzano risiedono nella sua capacità di superare con la sua poesia il quotidiano e di porsi come poeta verace, ispirato da un idioma di cui sente e esalta la sacralità, la nobilissima ancestralità, il musicalissimo e spirituale riverbero dell’animo affannato o rasserenato nel magma dell’esistenza, o ripiegato su se stesso nella ricerca del significato dell’esistenza stessa, o annegato nella ricerca dell’infinito, forse proprio quello ‘oltre la siepe’, guardando oltre ‘l’ultimo orizzonte’. 

E proprio leopardianamente, ma con l’anelito cristologico e mariano del francescano secolare, il nostro autore tratta tutte le tematiche che lo interessano in una lingua antica e nuova al tempo stesso, intrisa dello stupore dell’uomo di fede che vede il creato come opera di Dio, che è in noi ed è fuori di noi, e in questo avvicendarsi di immanenza e di trascendenza la lingua si fa nobile e grande come quella del Cantico delle Creature, come quella dei Salmi dell’Antico Testamento, e rimanda a percorsi che superano la fisicità del dolore solo nella sofferenza del sacrificio e nella Speranza della Fede.  

E così spiritualità e preghiera si mescolano con l’incanto delle minime cose del quotidiano, il poeta si fa rapire dalle sue piccole e continue estasi, e riporta nei versi, spesso rimati in quinta rima, il rigore estatico dei grandi mistici, elevando la vita ad un tentativo di tenere sempre lo sguardo rivolto in alto, quasi seguendo l’imperativo dantesco del Canto di Ulisse, e guardando sempre alla luna, che diventa un po’ il sotteso miraggio del pastore errante dell’Asia, o meglio la dolce luna alla quale ancor si può chiedere, oggi però nel dialetto di Ianzano, cosa faccia in cielo. La luna così diventa l’interlocutrice cui rivolgere domande sul futuro, poiché il poeta mendica una dolce speranza: ‹‹vegne pezzenne speranza adduciuta›› (p. 13).

Ma ci sono anche strazii, versi intrisi di accorati interrogativi come nella poesia Ma tu… ‹‹pecché po te spirde/ me lisse mmacande/ a pedë mbussate…›› (perché d’un tratto ti dissolvi, mi pianti vuoto e impantanato) (p.17), o come nella lirica intensa per le immagini e le similitudini, vera celebrazione dell’amore, che è Serenata cujèta: ‹‹quanne tu rire tutte lu munne ce n’addona›› (‹‹quando tu sorridi tutto il mondo ne rimane estasiato››) (p. 23).

Il poemetto intitolato Come ce mbizza la cèreva (Come si porta la cerva) è una sorta di cantico, d’ispirazione religiosa, forse degno di essere accostato alla poesia di Iacopone da Todi. ‹‹Tu caretà, tu ppacijénza e réquië/ allu uère si vivë! Tu si’ ducë/ de bellizzë e zeffunnë sta ngustate.(Tu forza e candë, me lisse na pace/ ché ammodda lena e ccurtèddera chieca.›› (Tu carità, tu pazienza e ristoro, sei vivo e vero! Tu sei dolce, di infinite virtù sei stracolmo. Tu forza e canto, mi lasci una pace che scuote l’inerzia e disarma.) (p. 39).

L’epilogo di questo poemetto possiede echi di S. Francesco, con i versi di un’Ave Maria intensa e straziata, resa ancora più efficace per la forma espressiva vernacolare: ‹‹Ave, Marija, abbaterne capata/ mbra nu sabbisse afficiute de femmene…›› (Ave, Maria, dall’eternità prescelta fra una moltitudine sconfinata di donne…) (p. 51).

La Bellezza di questo poemetto è tutta da godere in una lettura lenta, ispirata, interiore, piuttosto che recitata, cercando le ragioni dell’essere nel tempo e fuori del tempo, per poter purificare il proprio orecchio interno e sentire nel silenzio la natura arcaica di questa voce che parla senza i rumori del nostro tempo.

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