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Posts Tagged ‘poesia dialettale

bogliunLoredana Bogliun, Par Creisto inseina imbroio (Per Cristo senza inganno)

Book Editore, Riva del Po 2021

di Marco Bellini

Accostarsi all’opera di Loredana Bogliun, nello specifico al volume Par Creisto inseina imbroio, significa disporsi con il corpo, la carne e anche l’anima – sostantivo dall’utilizzo rischioso che la nostra autrice non teme di considerare con frequenza – all’incontro con una terra ben precisa e con una storia che la definisce. Mi riferisco ad un paese, Dignano d’Istria, il cui nome costituisce di per sé una dichiarazione di appartenenza a un determinato territorio: l’Istria, con tutto il suo carico di vicende umane. Si tratta di luoghi attraversati, nell’ultimo secolo, da lacerazioni e sofferenze dalla forza dirompente. Non si può non considerare l’orizzonte temporale compreso tra il secondo dopoguerra e l’inizio degli anni Sessanta in cui si è assistito all’esodo che, come spiega la stessa autrice nella nota introduttiva all’opera che andiamo a commentare «ha sconvolto i destini delle genti istriane, costrette ad abbandonare case, lingua e affetti, per volontà politiche ostili al sereno convivere della gente comune». Leggi il seguito di questo post »

ciurnelliOmbretta Ciurnelli, Lippe lappe. Cento quartine in lingua perugina

Era nuova, Perugia 2023

di Achille Chillà

L’ultima raccolta di poesie di Ombretta Ciurnelli è intenzionalmente impostata su un apparente cortocircuito tra messaggio e forma, struttura e contenuto. Da una parte la rassicurante architettura poetica della quartina ritmata sulla sonorità classica dell’endecasillabo è contenuta nel numero sommamente simbolico di cento componimenti; dall’altra il mantra poetico “lippe lappe” oppositivamente nella splendida lingua perugina è una cifra esplicita di labilità, indistinto e liminalità: l’espressione indica infatti la precarietà delle condizioni di salute o l’imminenza della morte di persone o animali; oppure una locuzione avverbiale equivalente a “per un pelo”, “per il rotto della cuffia”; o ancora l’essere in procinto di fare qualcosa; infine, significativamente «lippe lappe può evocare una condizione che è e non è al tempo stesso»(p. 8). Quindi un’espressione polisemica dell’indeterminatezza abita un edificio di sillabe solido e cantabile. L’autrice vuole forse mostrare al lettore nel significante poetico dialettale e melodico una via d’uscita allo stridere del significato sul ruvido asfalto della Storia e dei modelli antropologici vigenti? È un segno dei tempi? Proviamo ad interrogare i versi stessi e i giochi combinatori di suoni, rime e temi prescelti: elemento di forza in questo quadro è lo strumento espressivo della lingua perugina. Il dialetto «è bono a dí ji ntruje de sto tempo (è capace di raccontare gli imbrogli di questo tempo)» (p. 59). La lingua arcaica in quanto espressione della cultura manuale legge e attraversa la cultura digitale con i suoi dispositivi sensoriali e sapienziali. Leggi il seguito di questo post »

ianzano_Luigi Ianzano, Allu nchianà

Pietre vive, Locorotondo 2023

di Achille Chillà

Non dové essere tanto diverso mutatis mutandis per i primi poeti, Dante in testa, dare assetto d’arte a una lingua quasi meramente orale quale il toscano medievale al cospetto di un altro codice, il latino, con alle spalle milleseicento anni di firme di prima grandezza. Peraltro, il proponimento di chiunque scelga una consuetudine linguistica attestata principalmente sul versante dell’oralità è animato dal desiderio profondo di incidere con l’atto della scrittura insieme a timbri e suggestioni fonetiche anche visioni del mondo e prospettive conoscitive e sensoriali. Allo stesso modo o quantomeno similmente Luigi Ianzano per mezzo della raccolta poetica Allu nchianà sprigiona la solidità espressiva della lingua di San Marco in Lamis appartenente al ricchissimo bacino apulo-garganico. Ad accogliere una tale istanza espressiva non casualmente v’è la casa editrice Pietre Vive, impegnata sul terreno dell’opposizione delle ragioni della pietra a quelle del cemento con gli strumenti della poesia e dell’arte. In questo e in altri casi letterari consimili la parabola della scrittura descrive un andamento inverso rispetto al primo affermarsi dell’italiano letterario; infatti, la parlata scelta è stata soppiantata violentemente dalla lingua ufficiale e non ha ambizioni di carriera. Essa per voce del poeta desidera soltanto testimoniare una civiltà che, pur materialmente scomposta dalle dinamiche storiche, permane nelle forme percettive e conoscitive nelle comunità del presente. E permane a tal segno che moltissime sue espressioni riaffiorano con forza nell’italiano regionale, risultando alquanto intraducibili. In tale prospettiva, non si tratta di notomizzare le lingue arcaiche o, peggio ancora, di chiuderle in una campana di vetro al riparo dalla Storia; al contrario, la presa d’atto di mutazioni traumatiche che hanno investito le culture tradizionali e dell’irruzione caustica e violenta di una bomba atomica antropologica determina forme di consapevoli resistenza e testimonianza culturali. Leggi il seguito di questo post »

Quasce-na-storia-di-Pietro-Civitareale

Pietro Civitareale, Quasce na storia

Edizioni Menabò, Ortona 2022

di Paolo Testone

La voce del poeta sembra il corrispettivo del Ruscignole, che ogni mattina porta nel dormiveglia il ricordo di un’altra epoca: «me repuorte tra lu sunne / lu recorde de n’atra età». È come una canzone che sospira e si dondola nell’aria, alla maniera delle onde del mare: «Se sente susperà / pe’ l’arie na canzone: / è l’onde de lu mare / che sta sempre a nazzecà». Queste immagini terse, levigante e delicatamente modulate evidenziano un tratto significativo della produzione in versi di Pietro Civitareale, studioso, critico e poeta sia in lingua che in dialetto. Quasce na storia, che è la sua sesta raccolta in dialetto abruzzese, riunisce testi inediti scritti tra il 1953 e il 2021, offrendo, in prospettiva diacronica, un ritratto complessivo di un mondo poetico. Leggi il seguito di questo post »

larbulu-nostru-il-nostro-albero-618572

Giuseppe Cinà, L’àrbulu nostru. Il nostro albero

La Vita Felice, Milano 2022

di Pasquale Vitagliano

Li carrubi spunàvanu cchiossà sularini/ nna la màcchia, a la campìa luntanu/ unni avìa carutu la simenza/ l’alivi no (I carrubi crescevano per lo più solitari/ nella macchia, nei pianori lontani/ ov’era caduto il seme/ gli ulivi no). Scrivendo di questa raccolta di poesie in siciliano di Giuseppe Cinà, vorrei soffermarmi sulla funzione, più che sulla struttura, della lingua scelta. Che il dialetto sia la lingua materna, come Pier Paolo Pasolini precisò nella sua esordiente analisi poetica, ovvero sia espressione dell’Heimat dell’autore, contrapposta alla Vaterland, che sia cioè la parola del luogo-dell’infanzia più che della terra-del-padre, quale dimensione collettiva e sovraordinata, se ne è discusso e scritto molto. Poco, azzarderei, si potrebbe aggiungere di nuovo e davvero interessante. Più stimolante, invece, potrebbe derivarne una riflessione che scaturisca da un altro punto di vista e da una inedita (per la poesia) domanda. Perché scrivere in dialetto, con quale funzione (ammettendo che la poesia, ontologicamente inutile, possa anche non intenzionalmente assolvere ad un qualche bisogno)? Leggi il seguito di questo post »

stella elia

Grazia Stella Elia, I paràule di tatarànne /Le parole degli antenati

Prefazione di Daniele Maria Pegorari

FaLvision, Bari 2021

di Maria Rosaria Cesareo

Da poco in libreria per i tipi della barese FaLvision, nella collana Polychromos, I paràule di tatarànne, l’ultimo lavoro in versi di Grazia Stella Elia, poetessa di lungo corso, demologa, cultrice del dialetto casalino ‒  la linguamadre di Trinitapoli (BAT) ‒ mirabilmente espresso in questa silloge. Leggi il seguito di questo post »

franzin, la fabbrica abbandonata

Fabio Franzin, ’A fabrica ribadonàdha (La fabbrica abbandonata)

Arcipelago Itaca, Osimo (AN) 2021

di Elena Bensi De Palma

L’intimistica quanto schietta voce dell’Opitergino-Mottense (variante del dialetto Veneto-Trevigiano, utilizzata nel Trevigiano sud-orientale) è il canale preferenziale della raccolta di liriche La fabbrica abbandonata. Ancora una volta Fabio Franzin libera le sue tasche dai ricordi di fabbrica che, come monete, scivolando sul pavimento, rompono il silenzio di un poeta che non teme di frugare nella sua storia e in quella della Nazione. La raccolta ripercorre così la ciclica disfatta del terzo millennio: dallo slancio ottimistico dei nuovi investimenti, alla desolazione dei vecchi centri, confinati in un destino di monumentale incuria. Leggi il seguito di questo post »

Ombretta Ciurnelli, Lingue allo specchio. Poesia in dialetto e autotraduzione

Ali&no, Perugia 2019.

di Giovanni Laera

Chi avrà voglia di leggere questo libro di Ombretta Ciurnelli troverà una miniera di osservazioni e approfondimenti su una questione tanto interessante quanto sottovalutata, quando si parla di poesia dialettale: l’auto-traduzione. Partendo da una tradizione di studi piuttosto recente, avviata negli anni Novanta del secolo scorso dal poeta e critico Gian Mario Villalta, l’autrice di questo volume riesce a organizzare un materiale eterogeneo e sfaccettato in dodici capitoli agili e al contempo esaurienti. Leggi il seguito di questo post »

Francesco Granatiero, VARDE.

POESIE IN DIALETTO GARGANICO DI MATTINATA

Aguaplano, Passignano sul Trasimeno 2016

 

 

 

 

di Sergio D’Amaro

Un caso davvero singolare di ricerca in quella lingua etnico-mitica che è il dialetto la offre ormai da molti anni Francesco Granatiero, originario del paese garganico di Mattinata. Succede poi, però, che tale ricerca è resa drammatica dalla dislocazione geografica dell’autore, trasferitosi fin dalla giovane età nell’universo urbano e industriale di Torino, cioè in una realtà quanto più lontana, per natura e cultura, dalla sua provenienza meridionale e contadina. Non si spiegherebbe altrimenti quel suo lessico che sembra inghiottire nei suoi suoni arcaici e misteriosi l’eco di un passato ancestrale, rivelando di quanto sforzo, di quanto sismico scuotimento psicologico deve essere capace l’immaginazione del singolo per resuscitare i fantasmi di un altrove che la coscienza è costretta a nascondere. Leggi il seguito di questo post »

Luigi Ianzano, Spija nGele

Caputo Grafiche, Borgo Celano (Fg), 2016, 62 pp.

 

 

 

 

 

di Marta Lentini

Spija nGele (Scruta il cielo) è una raccolta di poesie scritte da Luigi Ianzano, docente di scienze giuridico-economiche di San Marco in Lamis (Fg), che usa l’idioma sammarchese come lingua poetica, utilizzando il metodo della grafia DAM, comunemente accettato per la trascrizione dei dialetti alto-meridionali, e corredando tutte le poesie di traduzione italiana a piè di pagina.

La novità e il fascino della scrittura di Ianzano risiedono nella sua capacità di superare con la sua poesia il quotidiano e di porsi come poeta verace, ispirato da un idioma di cui sente e esalta la sacralità, la nobilissima ancestralità, il musicalissimo e spirituale riverbero dell’animo affannato o rasserenato nel magma dell’esistenza, o ripiegato su se stesso nella ricerca del significato dell’esistenza stessa, o annegato nella ricerca dell’infinito, forse proprio quello ‘oltre la siepe’, guardando oltre ‘l’ultimo orizzonte’.  Leggi il seguito di questo post »

Antonio Parisi, Canzoniere fondano

di Achille Chillà

Quando la poesia si costruisce come cassa armonica d’inchiostro delle voci di una comunità, il suo autore sottrae alle angustie della quotidianità circostanze, visioni della vita e sentimenti di luoghi e persone, altrimenti votati all’oblio. Affondando le proprie radici espressive nella lingua della città di Fondi, in provincia di Latina, Il Canzoniere fondano di Antonio Parisi, per Herald Editore, costituisce un corpus poetico significativamente pregno delle molteplici narrazioni del sentire comune di voci anonime ma democraticamente accolte nell’agorà del verso. Come avverte nell’introduzione alla lettura Antonio Lamante, per stile, struttura e frequente e divertito ricorso al fulmen in clausula, la raccolta si muove sulla solida tradizione tracciata da Cecco Angiolieri, dal Burchiello e dal Berni, poi transitata nei secoli successivi. Leggi il seguito di questo post »

 

di Francesco Granatiero 

I poeti e i cultori di dialetto sono gelosi della loro grafia. È difficile che improvvisati pionieri della scrittura della propria madrelingua accettino di integrare una trascrizione molto approssimativa o, più frequentemente, di lasciar cadere gli eccessi di segni diacritici che rendono difficoltosa la lettura.

È lodevole che più autori di uno stesso centro si mettano d’accordo e cerchino una soluzione comune. Così, per esempio, l’ “Accademia della lingua barese” che si ispira alla grammatica di Alfredo Giovine e i dialettali del sodalizio “La Putèca” di San Marco in Lamis (Fg). Il principale difetto di questi gruppi, oltre che dei singoli autori, è però spesso quello di non tener conto delle altre parlate più o meno prossime della loro stessa area linguistica. Ne deriva una babele di scritture che, oltre a non giovare alla comprensione, finisce per compromettere proprio quella dignità di lingua che ogni dialetto ha e che molti di costoro, così facendo, credono di difendere. Leggi il seguito di questo post »

Ombretta Ciurnelli (a cura di), Dialetto, lingua della poesia

Edizioni Cofine, Roma 2015

 

 

 

di Achille Chillà

 

Ombretta Ciurnelli, curatrice nel 2011 dell’antologia OliveTolive, poesia dell’olio e dell’olivo da Omero ai giorni nostri (Perugia, Fabrizio Fabbri Editore), si è cimentata con un nuovo lavoro antologico significativamente intitolato Dialetto, lingua della poesia, per le Edizioni Cofine di Roma (2015).

Il tono assertivo del titolo si inserisce nella dibattuta ‹‹questione della lingua››, interna alla letteratura italiana e incentrata sullo stereotipo culturale che ritiene la poesia in lingua dialettale un’operazione creativa marginale rispetto alla produzione letteraria in lingua italiana.   

Una cortina di ferro concettuale attraversa anche la critica, divisa tra i sostenitori del primato indiscutibile dell’italiano come unico canale linguistico propriamente letterario ( tra gli altri G. Manacorda, G. Giudici) e coloro che mettono in luce le potenzialità espressive della complessità fenomenologica contemporanea nella poesia neodialettale (come G. Contini, C. Bo). Leggi il seguito di questo post »

 

Vincenzo Mastropirro, Poésìa sparse e sparpagghiote

CFR, 2013

di Antonio Lillo

Vincenzo Mastropirro, classe 1960, è probabilmente molto più conosciuto come musicista che come poeta. Chi scrive, perlomeno, confessa che Poésìa sparse e sparpagghiote : Poesia sparsa e sparpagliata (CFR, 2013) è il primo libro di Mastropirro che legge, anche se è il terzo da lui pubblicato.

Mastropirro scrive nel dialetto materno di Ruvo e la prima domanda che viene sempre di fronte a una tale scelta è se ci sia ancora l’opportunità editoriale, se non l’esigenza personale, per una tale scelta.

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«incroci» – semestrale di letteratura e altre scritture

direzione: Lino Angiuli •  Daniele Maria Pegorari • Raffaele Nigro

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