incroci on line

Franco Arminio, Cedi la strada agli alberi

Posted on: 21/10/2017

Franco Arminio, Cedi la strada agli alberi 

Chiarelettere, Milano 2017


 

 

 

 

di Franco Sepe

La poesia di Franco Arminio, come del resto anche un po’ tutta la sua produzione prosastica, muove dal concreto. Precisamente dalla terra, dal corpo. Terracarne è infatti il titolo di un suo fortunato volume che presenta al lettore le sue escursioni-riflessioni di viaggiatore minimalista attratto da paesi e villaggi di un Sud che in realtà già conosce bene, luoghi in gran parte divenuti obsoleti dove non è più la miseria a regnare ma la desolazione. Autodefinitosi paesologo, Arminio, nativo dell’Irpinia orientale, ha informato la sua vita e la sua opera a un minuzioso lavoro di ricerca sul campo (“Quando voglio stare bene al mondo / io so dove andare: / devo andare in un paese a parlare / con i vecchi”, p.38), che coincide con la sua missione di cantore di una “Bellissima Italia annidata sull’Appennino” (p.21). Un’Italia che si sta sgretolando sotto i colpi dell’incuria e dell’indifferenza, un’Italia che si sta spopolando (“Certi paesi diventano come quei bar / in cui campeggiano, in polverose bacheche di vetro,/ vecchie merendine: i clienti se ne vanno altrove / e il barista non rinnova la merce”, p.25).

Di fronte a questo triste spettacolo il poeta irpino, che non condivide l’idea di un possibile rilancio di tali paesi in termini esclusivamente economici (“Riabitare i paesi non è questione di soldi. I soldi servono a farli più brutti, a disanimarli”, p.29), opta per una riscoperta della sacralità dei luoghi (“Per riabitare i paesi ci vuole una nuova religione, la religione dei luoghi”, ibid.), un modo per accostarli e sentirli più vicini – e questo vale tanto per chi li visita che per chi li abita, cosa oggigiorno del tutto inusuale –, con la devozione che merita ogni forma di esistenza terrena abbandonata a se stessa (“Bisogna ripartire da qui, / qui c’è il sacro che ci rimane: / può essere una chiesa, una capra, / un soffio di vento, / qualcosa / che non sa di questo mondo / né di questo tempo”, p. 21). In un componimento in forma epistolare rivolto alle nuove generazioni (“abitate da poco una terra antica”, p.9), Arminio arringa i ragazzi del Sud spronandoli a non farsi rubare il proprio futuro (“Uscite e ammirate i vostri paesaggi, / prendetevi le albe, non solo il far tardi”, ibid.), a non restare ancorati alla propria apatia di paesani  destinati a soccombere nella propria solitudine, una solitudine di cui “ognuno è fabbro”, giacché “il Sud italiano è un inganno e un prodigio” (p. 10).

Per quanto concerne la natura, il poeta non propone – e non reclama dal lettore – una fede di stampo ecologista, ma si limita a indicargli una via più agevole per sentirsi in consonanza con essa e trarne qualche beneficio per i propri affanni (“Concedetevi una vacanza / intorno a un filo d’erba, / concedetevi al silenzio e alla luce, / alla muta lussuria di una rosa”, p. 11). Cedere la strada agli alberi, vuol dire in questo senso rinunciare al dominio secolare dell‘uomo sulla natura e a riequilibrare il proprio organismo e la propria entità sociale di cui il corpo si fa tramite.

La quartina, da cui è tratto il titolo (“L’entroterra degli occhi”) della prima sezione del volume e che recita: “Io sono la parte invisibile del mio sguardo / l’entroterra dei miei occhi” (p.17), è di magrelliana memoria – come non pensare alle meditazioni sullo sguardo e sull‘io corporeo contenute soprattutto nei versi di Ora serrata retinae? L’attenzione, talvolta ossessiva, che Arminio rivolge al proprio corpo, fonte di parossistiche apprensioni ma anche rifugio precario (“Ho un alloggio di fortuna: / il mio corpo”, p.48) nel quale mettere in salvo le poche energie rimaste che ancora resistono alla dissipazione indotta da un uso frenetico della vita, non è nuova nella poetica dell‘autore. Le preoccupazioni dell’autore per i mali che affliggono il proprio corpo – complementari a quelle concernenti la salute dei paesi da lui costantemente monitorati –  hanno radici lontane (“Io ho preso nell’infanzia / questo sentimento / come si prende una radiazione / e ora ogni mio respiro è l’ossigeno / del timore, la sua lenta / e improvvisa combustione. ”, p.129). Si tratta di un sentimento del corpo scaturito in tenera età da una certa modalità di relazione instaurata dalla madre (“Tutto viene da mia madre / dal suo perenne sgomento”, ibid.), come rivela Arminio nella sezione intitolata “Poeta con famiglia”, e che ha ripercussioni sulla vita adulta del poeta (“Navigo sulle argille / di vecchie paure, / da fuori sembro sano, / ma all’interno ogni giorno / dentro il mio corpo frano. ”, p.120). E‘ l’amore, tematizzato nell‘apposita sezione “Brevità dell’amore”, a sottrarre l’io lirico alla propria fisicità estraniata (“Sentivo zone lontane del mio corpo / che tornavano a casa”, p. 61); è l’amore a penetrare con prepotenza nell’anatomia arminiana, come recita la seguente lirica, che riportiamo per intero: “Oggi stavi nel mio sangue / e io me ne accorgevo / ogni volta che il sangue / entrava dentro il cuore. /  Oggi stavi nelle ossa. / C’era un vago, minerale / sentore di te / nella testa dell’omero, / nella fossa dell’anca. ” (p. 64). E’ sempre l’amore a spingere il poeta a palesare alla propria amata gli aspetti più problematici della propria personalità (“Io parlo del malore che mi viene mentre parlo, noioso cronista della mia ansia”, p. 84). Tuttavia sarà la fiducia nel potere taumaturgico dell’affetto ricevuto dalla donna, ritenuta superiore, ad agire sull’io come un balsamo e a rendere possibile la maturazione (“Mi vedrai crescere a ogni passo. / Sarò alla tua altezza al momento / dell’abbraccio”, p.62). Ma  l’amore può lenire, non certo però guarire una volta per tutte le ferite (“Neppure il tuo abbraccio è un luogo / in cui fermarsi. / Ancora non si è sciolta la neve / dell’infanzia, / proseguo la mia fuga. ”, p. 104).

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

«incroci» – semestrale di letteratura e altre scritture

direzione: Lino Angiuli •  Daniele Maria Pegorari • Raffaele Nigro

disclaimer

Il blog ‘incroci on line’ non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità: per questo non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001.
La responsabilità degli articoli è dei rispettivi autori, che ne rispondono interamente.

Alcune immagini pubblicate nel blog sono tratte dal Web: qualora qualcuna di esse fosse protetta da diritto d’autore, vi preghiamo di comunicarcelo tramite l’indirizzo incrocirivistaletteraria@gmail.com, provvederemo alla loro rimozione.

Al lettore che voglia inserire un commento ad un post è richiesto di identificarsi mediante nome e cognome; non sono ammessi nickname, iniziali, false generalità.
Commenti offensivi, lesivi della persona o facenti uso di argomenti ad hominem non verranno pubblicati.
In ogni caso ‘incroci on line’ non è responsabile per quanto scritto dai lettori nei commenti ai post.

Archivi