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Paolo Gera, “Ricerche poetiche”

Posted on: 19/03/2023

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Paolo Gera, “Ricerche poetiche”

Puntoacapo, Alessandria 2021

di Achille Chillà

La via maestra della scrittura poetica cerca – e a volte trova – un’espressività inedita che dà la stessa ebbrezza di una scoperta scientifica allo studioso che indaga la natura. Non sorprende che una raccolta di poesie e testi creativi rechi il titolo Ricerche poetiche. Al laboratorio dello scienziato si sostituisce la risacca del mondo nel sé, unico e irripetibile, del poeta. Quando egli riesce a dar timbro, colore e consistenza a quel risuonare della realtà interiore come riflesso dell’esistenza e della Storia, allora la parola si fa autenticamente poesia. Paolo Gera chiede co-autorialità alla natura stessa in un recupero di fusione panica del verbo con la materia e le leggi di Natura.

Il rapporto con la Musa è rovesciato: l’autore dà alla Natura uno zibaldone di appunti raccolti qua e là alla rinfusa e chiede ad essa di operare una sorta di caviardage. In che modo? Una tecnica di compostaggio ideata dall’agronomo Albert Howard e denominata indore consiste nel sovrapporre scarti organici in una sequenza determinata, per trasformarli in humus che concimi la terra. Il principio ben chiaro nella chiosa metaforica della canzone Via del Campo di Fabrizio De Andrè – ‹‹ dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior››-  e arcinoto nelle civiltà antiche dell’essenzialità dei rifiuti (solo apparenti) per la sopravvivenza trova in Gera una soluzione letteraria. Nella tradizione latina in compagnia delle tredici divinità ausiliarie della dea Cerere figura Stercolinus, il concime, invocato insieme agli altri numi dal sacerdote per garantire un buon raccolto. Rifiuti di scrivere è il titolo della prima delle tre sezioni che compongono la raccolta, quasi fosse il terreno fertile da cui far scaturire il raccolto delle altre poesie. Esso è preceduto da un componimento introduttivo costruito come ecolalia di parole chiave e frammenti di versi di Dante e Francesco d’Assisi, a partire nelle prime due strofe dalle lettere m e p, come la pronuncia incerta e balbettante di un bambino che impara ad articolare i primi suoni che alludono a maternità e paternità; ma pa approda a paura e ma a smarrita. La composizione dei 10 indore è avvenuta in un campo fra Tassarolo e Rovereto il 20 giugno 2020 in forma di un’happening, come lo stesso autore riferisce: compiuta una minzione sugli stessi per favorirne il deterioramento davanti a un gruppo di “amici incuriositi e parenti costernati”, i compost verbali ottenuti sono stati raccolti qualche mese più tardi. Come in un concreto cumulo di compostaggio il materiale verbale è stato costituito da elementi eterogenei ovvero da scritture personali mescolate a testi di autori frequentati dal poeta e da altri a lui decisamente sgraditi. Il risultato è stato davvero sorprendente; il lettore può leggere il materiale utilizzato prima e dopo l’editing biochimico, notando che in più di un passaggio il non senso dell’ipertrofia di parola dell’iniziale sovrapposizione di voci messe a fermentare sembra restituito alle forze ancestrali della Natura in un passaggio dalla logorrea al logos con opportuni e potenti accostamenti e risemantizzazioni: ‹‹Due bambini, migliaia di anni, sovrapopolamento dentro noi, i nati anonimi, i social senza volto, amici, porta pesante e molte turbe, scaricare macchinalmente app, stress, arabo o cosa›› ( Compost 4, p. 27); ‹‹Oh stagioni, oh Mc Donald’s, costellazioni si spostano verso il mercato›› (Compost 6, p. 33).

La seconda sezione intitolata Ricerche poetiche dà significativamente il nome alla raccolta ed è introdotta da una citazione dal saggio capitale Ricerche filosofiche del viennese Ludwig Wittgenstein: ‹‹Cosa vuol dire sapere che cos’è un gioco? Che cosa vuol dire saperlo e non essere in grado di dirlo?››. Gera si cimenta con l’interrogazione del gioco poesia con lo stesso piglio. Il primo componimento muove dal senso della scrittura poetica nel terzo millennio, puntando i suoi strali sarcastici eppur dolorosi contro il mercato editoriale completamente mercificante e contro i poeti stessi, a metà tra ‹‹un alto gradino raggiunto nell’esercizio della libertà creativa›› (p. 50) e ‹‹un infimo gradino sceso nell’esercizio del narcisismo / e della sovraesposizione personale” (p. 50). Assieme ai toni di protesta convivono accenti di autentica fiducia nell’arte pochi versi oltre: ‹‹o sempre e comunque menti e mani / che si muovono per inestinguibile bisogno di capirsi / materia che fa comunicazione senza messaggi›› (p. 50). All’azione naturale di corrosione della carta e del cortocircuito del senso umano nell’indore in questo secondo movimento corrisponde contrastivamente e violentemente ‹‹l’esplosione atomica in rete” delle parole e dei significati; l’autore allestisce un ospedale da campo per “le parole scagliate più lontane / le residuali, le mutili, le parole rintronate che hanno perso memoria / le morte intatte, i tronconi rigirati che ancora gemono e sognano›› (p. 51). Egli ‹‹a mano nuda›› presta le cure necessarie tra le macerie di suoni e lettere che riportano il senso di un ruolo possibile al poeta nella società del Ventunesimo secolo in qualità di custode di parola in un contesto di costante “parolicidio”.  I versi continuano sul filo del gioco annunciato in esordio con scarti concettuali e linguistici e paradossi che così come riflettono con acume ironico il tempo presente allo stesso modo hanno il guizzo di superarne le angustie, per acquistare uno sguardo ulteriore dopo la piena immersione in esse. La ricerca di una scrittura in versi che entri nei tessuti malati del presente interroga la poesia stessa in forma di apostrofe sui brandelli doloranti dell’umanità odierna come la miseria, l’iper-digitalizzazione delle esistenze degli adolescenti, i massacri in corso, concludendo con un’icastica e antiretorica immagine: i versi sono denunciati nella prevalente valenza di putrescente autocelebrazione (pp. 53-54). Il rovello della ricerca di parole bagnate alla pulsante dimensione del quotidiano è condiviso col lettore tra il giocoso e l’autentico. Infatti, con riferimento alla prima terzina della Commedia dantesca l’autore gioca a riformulare per sei volte in chiave moderna e personale l’immortale incipit, come ad esempio: ‹‹Nel giusto centro dell’umano viaggio / mi risvegliai tra tronchi senza luce / non ritrovando né strada né raggio›› (p. 58).  La ricerca del verso indugia sardonicamente sul rapporto con padre Dante in un’alternanza di versi e prosa, per significarne sì la grandezza ma allo stesso tempo l’esigenza di una composizione lirica che, innervando le sue radici nell’impareggiabile modello, possa al contempo esprimere il nuovo e inedito stadio dell’attuale umanità. Il cortocircuito del medium poetico della tradizione e delle stesse avanguardie procede sì con intenti di sperimentazione e provocazione ma sostenuti dalla solidità dell’ispirazione a una nuova etica coraggiosa, che sia pronta a dar voce a sentimenti e realtà non ammessi il più delle volte entro il regno delle metafore e delle sinestesie. La sensibilità dell’insegnante nei confronti dei bambini e degli adolescenti esposti alle logiche di asservimento al sistema produttivo nella società di massa emerge con gran pathos in numerosi passaggi concettuali ed emotivi. I bersagli del dominio onnivoro dell’ennesimo capitalismo della nostra storia non hanno più soltanto una valenza di classe ma una diversa natura. Bisogna cercarli senza troppe categorizzazioni schematiche, come solo l’arte sa e può fare: la prospettiva culturale della poesia assume in questa chiave la funzione esplicita di contraltare all’industria culturale, al suo inane esprimersi per slogan a sostegno dello statu quo di un conformismo di massa ben addomesticato da Scienza e Tecnica al soldo di un apparato capitalistico tanto pantocratore quanto “pantoclasta”. Per testimoniare la propria ribellione, la guerriglia poetica si spoglia di supponenza e si mimetizza nelle parole nemiche, intossicandole di senso e riconducendole entro proprio terreno con grande impatto smascherante: ‹‹leva la a a parole e ottieni prole›› (p. 69); un lento depotenziamento della parola passa po’ per sottrazione a pole, Poe  (‹‹le pole volano alte e la elle si stacca / come improvvisa cacca›› (p. 70)), Po fino a giungere alla lettera p, iniziale del nome dell’autore. I versi fanno quindi il verso all’impoverimento linguistico dei nostri tempi ma mostrando la potenza insita nelle parole.

L’ultima sezione è denominata opportunamente Concetti verbali perché come le idee concatenate fra loro le poesie sono tra loro interagenti fino a formare una comunità dialogante che rompe gli argini da testo a testo. Potrebbe essere un richiamo alla continuità logica e relazionale anche fra esseri umani in contrapposizione all’individualismo vigente.

Una pulsante e commossa lettera di Annamaria Farabbi a mo’ di postfazione chiude il libro in continuità con gli accenti di autenticità e onestà intellettuale della raccolta: ‹‹Poi il ritmo dei tamburi pulsa in tensione crescente, la cui sonorità acuta, struggente, dilaniante, tatuante, compie un’orchestrazione polifonica alternandosi a conche sofferte di tenerissima, lirica umanità››.  

1 Response to "Paolo Gera, “Ricerche poetiche”"

Una lettura veramente ricca e articolata. Non è cosa di tutti i giorni di ricevere una recensione così: infatti la notizia della sua pubblicazione mi è arrivata allo scoccare del solstizio di primavera. Non è cosa nemmeno di tutti i critici: l’autore dell’articolo ha analizzato perfettamente la mia opera e il suo sviluppo progettuale. Che bello essere compresi! Ringrazio moltissimo Achille Chillà.

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